Di Isabella Rosa Pivot
Incredibile come, nelle dinamiche umane, ogni evoluzione tecnologica porti con sé un’involuzione quasi automatica dei diritti: non si fa in tempo a tutelare e regolamentare un sistema, che subito ne viene violato un altro.
L’ultima novità involutiva è lo “zoombombing”, con il quale in linea generale si intende l’intrusione indesiderata di hater o troll durante le teleconferenze. Questi disturbatori seriali interrompono lezioni scolastico-universitarie, riunioni di lavoro, seminari, eventi che si tengono all’interno di piattaforme come Zoom o Google Meet. Con che modalità? Quasi sempre attraverso grida e suoni striduli, ma anche mediante materiale esplicito o violento.
Il termine è stato ripreso dalla parola “photobombing”, che si riferisce alla pratica scherzosa di infiltrarsi nelle foto altrui. La differenza principale sta però nel fatto che lo zoombombing non ha proprio nulla di divertente: ritrovarsi dei genitali non richiesti sullo schermo del PC, durante una riunione, non incita sicuramente a farsi una risata.
Zoombombing: indovinate chi sono i bersagli prediletti di questa nuova forma di violenza? Ovviamente, le donne.
Questa molestia è infatti assai diffusa negli incontri e nei convegni online dedicati a temi sociali, politici e soprattutto legati a tematiche femministe e alle questioni di genere. Nella maggior parte dei casi, i “disturbatori” attendono persino che a prendere la parola sia una donna, prima d’intervenire con il solo obiettivo di denigrarla. Studiosi del fenomeno l’hanno considerata una vera e propria tattica di boicottaggio del discorso femminista.
Riporto ad esempio il caso di novembre 2020, durante l’annuale convegno – svoltosi online per via dell’emergenza Covid-19 – della Società delle Storiche; ma anche quello di dicembre 2020, durante il webinar sulla violenza contro le giornaliste donne organizzato dalla FNSI. Soprattutto in casi come questi, hater e troll hanno attaccato le partecipanti con offese personali e commenti volgari.
E se ci ritrovassimo a pensare, a primo impatto, che si tratti di banali troll singoli e solo molto annoiati, ci staremmo sbagliando: in molti casi, sono veri e propri gruppi di disturbo organizzati, con obiettivi specifici e pianificati nel tempo.
Il periodo attuale, oppresso dalla pandemia da coronavirus, ci ha forzati a rivoluzionare completamente le nostre abitudini e spinto ad abbracciare ancor più maggiormente i cambiamenti digitali. La vita online ormai interessa ogni ambito della nostra esistenza, tanto da coincidere quasi con essa. Sarebbe sciocco quindi continuare a sminuirne l’impatto, come spesso ancora accade. Tra didattica a distanza, riunioni di lavoro da remoto, convegni e incontri sulle più diverse piattaforme digitali, non v’è realtà che non passi per il web. Simili molestie possono e devono essere dunque considerate alle stregua di tutte le altre ed è necessario aumentare il discorso a tal riguardo.
Non solo, è fondamentale arrivare alla radice stessa di quest’ involuzione, perché pare inarrestabile e capace di rinnovarsi in tempi sempre più brevi. Zoombombing, Molka… Ogni giorno sentiamo nascere e/o modernizzarsi una nuova forma di violenza e non possiamo sconfiggere nessuna di queste se non siamo in grado di individuarne anzitutto l’origine.
Come ha affermato Giulia Blasi – giornalista e scrittrice italiana – , dopo aver subito in prima persona un attacco di zoombombing:
“Più che parlare di come evitare queste azioni, è ora di cominciare a discutere della loro matrice. Smettere di ridurre tutto a stupidità individuale, e domandarci quante volte abbiamo derubricato l’aggressività maschile a “goliardata” e “bravata”, dando per scontato che la mascolinità – intesa come complesso di azioni, scelte e comportamenti tipici del genere maschile – vada bene così com’è, e che sia la femminilità a essere sempre manchevole, bisognosa di aggiustamenti, di nuove difese per sopravvivere, e a ogni discorso che prova a smontarla reagisce con ulteriore aggressività. È ora di farci delle domande su come educhiamo i maschi, e i primi a doversele fare sono gli uomini.”