Mentre Carolina Kostner vinceva il 5 marzo la Nordics Open, gara internazionale di pattinaggio a Reykjavik in Islanda, nell’analoga gara della Cup of Tyrol a Innsbruck in Austria, la rappresentante degli Emirati Arabi Uniti, Zahra Lari, si presentava in pista col velo islamico, ossia l’hijab.
Zahra, ventun anni, figlia di un’americana convertita all’Islam e di un cittadino del piccolo stato della penisola arabica, ha deciso di darsi al pattinaggio quando, a dodici anni, ha visto il film Disney “Ice Princess“. Iniziò come un gioco ma, dopo aver convinto il padre, assai contrario, la passione ebbe il sopravvento.
Ora si divide tra l’Università di Abu Dhabi, facoltà di salute ambientale e sicurezza, e gli allenamenti sul ghiaccio e in palestra.
Zahra vuole dimostrare che una musulmana può partecipare alle competizioni sportive anche con il capo e il corpo coperti, e intende essere la prima donna proveniente dal deserto a partecipare alle Olimpiadi Invernali del 2018 in Corea.
L’atleta sostiene che è difficile imparare a saltare Axel, Toe-Loop, Flip, Lutz e Salchow ma che, quando riesce, è appagata dalla sensazione di volare.
Intende fungere da esempio alle ragazze della sua fede, trasmettendo il messaggio che è possibile seguire la propria passione anche se il percorso è irto di ostacoli: basta andare avanti e lavorare per migliorare, senza guardare le differenze tra le persone ma concentrandosi solo sulle somiglianze.
L’amore per il pattinaggio l’accomuna alle altre concorrenti, superando la diversità dell’abito.
I veli usati dalle donne islamiche sono legati a regioni differenti e a tradizioni che vanno al di là della religione.
Il più antico, l’Hijab, il foulard che copre collo e capelli, è accompagnato da un abito che cela le forme del corpo.
Il Niqab sottrae alla vista l’intero volto.
Il Burqa è originario dell’Afghanistan e nasconde corpo, viso e occhi.
L’Abaya è diffuso nelle zone del Golfo Persico ed è un velo leggero che lascia visibili solo gli occhi.
Lo Chador è usato in Iran, mentre l’Haik nei paesi del Nord Africa.
In Occidente il velo è considerato uno strumento di sottomissione della donna.
Si tende a confondere quello che è realmente scritto nel Corano con l’interpretazione che ne viene fatta nei paesi arabi, che spesso strumentalizzano il velo per opporsi all’occidentalizzazione della loro cultura, trasformandolo in un condizionamento della condotta femminile.
Nel mondo islamico non è possibile rivolgere pubblicamente la parola a un uomo senza indossare il velo, in quanto considerato imbarazzante.
L’ hijab permette una normale vita sociale senza timore di fraintendimenti nel momento in cui l’interlocutore è un uomo, quindi viene considerato non uno strumento di sottomissione ma un aiuto che permette l’accesso della donna alle università, alle professioni, alla vita pubblica, e quindi alla modernità.
La presenza del velo è inoltre legata a convinzioni personali relative alla fede, perciò la donna potrebbe scegliere se indossarlo o meno.
Spesso il velo viene imposto dai genitori, nei paesi occidentali, per timore che mogli e figlie perdano l’identità culturale, così come molte ragazze scelgono di non portarlo per adeguarsi agli usi dello Stato ospitante, temendo una “discriminazione“.
Altre ammettono di farlo per consuetudine o per l’orgoglio di mostrare il loro status di musulmane.
Noor Tagouri è una giornalista ventiduenne che ha posato per la rivista Playboy con l’hijab.
E’ figlia di immigrati libici, laureata in giornalismo, e ha lavorato per CBS e CTV News.
La rivista l’ha inserita nella sezione “Renegades 2016″ fra le donne e gli uomini più influenti del momento.
La ragazza è impegnata nella lotta contro i pregiudizi nei confronti del mondo musulmano, dando vita, nel 2012, alla campagna #LetNoorShine, diventata virale sul web.
Ha inoltre fondato un’associazione che combatte il traffico di esseri umani dal nome Project Futures.
Noor è stata fotografata indossando jeans, maglietta, giacca di pelle e hijab, tenendo fede alle proprie convizioni religiose e diventando la prima modella col velo islamico di Playboy.
Riuscirà Zahra Lari a imitarla, venendo ricordata come la prima atleta musulmana a partecipare ai Giochi Olimpici Invernali?
La risposta tra undici mesi.
Paola Iotti