La serie animata di Zerocalcare su Netflix, Strappare lungo i bordi, è la più vista e la più discussa dell’ultima settimana. È il racconto emozionale, amaro e divertente, di una generazione intera, quella dei cosiddetti Millennials.
Strappare lungo i bordi è su Netflix da qualche giorno e ha già raccolto consensi ovunque. La serie animata di Zerocalcare, punto di rifermento dei fumettisti in Italia, sta spopolando così tanto che chiunque, nelle ultime ore, si è affrettato a vederla per ovviare all’altissimo pericolo di spoiler non richiesto, in atto sul web.
Tutto un rincorrersi di “l’hai vista la serie di Zerocalcare?” anima chiacchiere da aperitivo e chat di Whatsapp, dallo scorso 17 Novembre. E la visione sembra mettere tutti d’accordo, più che sulla qualità del prodotto (oggettivamente notevole) sullo stato d’animo in cui ti lascia una volta terminata. Uno stato d’animo che riguarda, in primis, la generazione protagonista di questo piccolo capolavoro d’animazione, la generazione Y o, com’è più comunemente chiamata, quella dei Millennials. Sono loro la parte di pubblico, appassionato del genere e non, che sembra stia maggiormente ridendo, piangendo e apprezzando la serie.
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Chi sono i Millennials che non sanno Strappare lungo i bordi?
Parliamo di quelli nati tra il 1981 e il 1999, quelli del cambio di millennio e del passaggio dall’analogico al digitale. Quelli venuti dopo il boom economico di cui sono frutto i loro genitori e prima di una crisi epocale che li renderà i precari per antonomasia. Quelli simpaticamente ricordati come i più sfigati e confusi della storia.
Chiunque sia nato in questo lasso di tempo, principalmente fra coloro che oggi sono trentenni, conosce un po’ quel senso di spaesamento e di incertezza, costante della propria formazione. Un sentimento inevitabile per chi è cresciuto con un determinato tipo di educazione e orizzonti culturali labili come quelli del periodo in questione.
Lamentare ciò, per un Millennial, significa andare incontro a facili critiche ed essere accusato di vittimismo, soprattutto da parte di chi quegli anni non li ha vissuti da bambino o adolescente. Eppure la sociologia e la psicopedagogia danno ragione ai Millennials nell’affermare che la loro condizione esistenziale e la stabilità del loro futuro non sono stati minimamente favoriti dalle condizioni economiche ed educative che ne hanno accompagnato la crescita. Un 1-0, nel confronto generazionale con i Boomer, che però non cambia di una virgola la realtà dei fatti.
Perché la serie li racconta così bene?
Strappare lungo i bordi parla di questo e di molto altro, con il linguaggio semplice e la forza comunicativa di un cartoon, l’ironia e un giusto mix di cinismo, romanticismo e tragicità che disarmano chi, inevitabilmente, si riconosce in certe dinamiche. Il noto fumettista romano, esordiente nella creazione di una serie animata di così vasta distribuzione, vuole rappresentare le difficoltà di un percorso di crescita che, nella vita, prima o poi, porta tutti a fare dei bilanci e ad avere dei rimpianti.
La sensazione di strappare male i bordi
Zerocalcare vuole dar voce alla sensazione comune di non essere rimasti “lungo i bordi tracciati” di come ci si era prefissati o di come veniva imposto che si sarebbe dovuto vivere. Una sensazione che si comincia ad avvertire, di solito, intorno ai trent’anni perché le convenzioni sociali hanno deciso che così dev’essere. Poco importa se chi è venuto prima è responsabile di qualche inciampo, coglierà comunque l’occasione per far pesare quell’inciampo. È una dinamica sociale vecchia quanto il mondo che, però, ogni generazione vive in maniera diversa.
E allora noi andavamo lenti, perché pensavamo che la vita funzionasse così: che bastava strappare lungo i bordi e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere. Perché c’avevamo diciassette anni e tutto il tempo del mondo.
L’importanza delle cicatrici
Strappare lungo i bordi è un grido di rabbia e denuncia, tratto costante dell’universo contenutistico di Zerocalcare, ma è anche un monito ad avere speranza, che le ferite nella vita guariscono e diventano cicatrici, roba da portare con orgoglio.
– “Alice… Ma la cicatrice quando passa?”
– “La cicatrice non passa, è come una medaglia che nessuno ti può portare via. Così, quando Zeta è grande e ormai il principe non gli fa più paura, si ricorda che ha vissuto, che ha fatto tante avventure. Che è caduto e si è rialzato.”
– “Ma perché non passa?”
– “Perché è una cicatrice, se andava via con l’acqua era un trasferello. È una cosa che fa paura, ma è anche una cosa bella: è la vita.”
Il racconto sottolinea, ancora, quanto fallire sia nella natura degli esseri umani imperfetti, complessi e complementari gli uni agli altri, come i fili d’erba.
Il racconto autobiografico di Zerocalcare
Per far ciò, Zerocalcare, al secolo Michele Rech, utilizza elementi autobiografici e flashback che forniscono il ritratto preciso di un’intera generazione: la sua. Ecco perché la serie fa ridere e piangere e muove qualcosa dentro chi a quella stessa generazione appartiene, suo malgrado.
Tratto dal primo famosissimo albo a fumetti, La profezia dell’armadillo, il racconto ruota attorno alle vicende di un fantomatico Zero. Zero è il celebre alter ego dell’autore che si confronta spessissimo con la sua coscienza avente le sembianze di un armadillo (anch’esso ben noto a chi conosce i fumetti di Zerocalcare). Zero compie un viaggio verso un luogo non ben identificato, insieme agli amici di sempre, Sara e Secco, che sono l’incarnazione di altri aspetti tipici e ricorrenti della generazione Y. Solo alla fine si scopre che il luogo di destinazione è Biella, città d’origine di Alice, quarta amica storica e amore platonico di Zero.
Qui l’apparente leggerezza del racconto cambia all’improvviso, mostrando il suo volto più tragico e amaro. Alice, instancabile sognatrice, è morta suicida per non aver trovato il suo posto nel mondo dopo anni di lotta per la conquista di un’indipendenza economica. Solo allora, Zero capisce e impara.
Personaggi archetipici
La storia tra Zero e Alice è il simbolo di quell’educazione sentimentale distorta dall’avvento del digitale, di cui i Millennials sono spesso tacciati, pur essendone, ancora una volta, le vittime.
E la storia personale di Alice, seppure estremizzata e resa cruda nel finale, potrebbe essere quella di un trentenne qualsiasi degli ultimi anni. In alcuni tragici casi, purtroppo, lo è stata per davvero e fino infondo, suicidio compreso.
Tutti e quattro i personaggi incarnano, per aspetti diversi, le caratteristiche e gli ostacoli di adolescenti e giovani adulti, almeno negli ultimi due decenni, restituendo una fotografia amara quanto vera della situazione attuale. È così che una serie animata di un’ora e mezza può diventare, in pochi giorni, un manifesto generazionale e far sorgere un senso di appartenenza, in qualche modo consolatorio:
Avemo scoperto che se campa pure co’ ste forme frastagliate accettando che non ce faranno mai gioca’ nella squadra de quelli ordinari e pacificati.
Però se potemo comunque strigne intorno ar foco e ricordasse che tanto, alla fine, tutti i pezzi de carta so’ boni pe’ scaldasse.
E certe volte quel fuoco te basta… e altre volte no.
Come consola Zerocalcare?
Se è vero il detto “mal comune mezzo gaudio”, capire di non essere poi così sbagliati perché legati agli altri da un destino simile e accomunati da paure, errori, treni persi, rimpianti e sogni resistenti, può far sentire meno soli. Può far capire che, a vederle dall’esterno, le vite degli altri sembrano perfette e invece, quando ci si avvicina, anche i bordi degli altri appaiono frastagliati.
Si dice che l’arte abbia il potere di far riflettere o di consolare. Quando il prodotto di una qualsiasi arte, ha entrambi questi poteri, dovrebbe poter essere considerato vincente. Il condizionale è d’obbligo, perché non c’è qui l’intento di recensire o analizzare tecnicamente la serie in questione.
Si parla di emozioni suscitate in una determinata fetta di pubblico e di come certi fenomeni e prodotti artistici possano rappresentare stati d’animo collettivi in modo semplice e naturale. Si discute del valore simbolico e rappresentativo che un prodotto culturale può assumere per una generazione intera.
L’approccio alla serie della generazione Y
All’inizio della serie, un Millennial qualunque comincia a sorridere compiaciuto ricordando particolari, all’apparenza insignificanti, della propria infanzia/adolescenza, tipo le canzoni di Manu Chao e Tiziano Ferro, la storia melensa tra Joey e Dawson, l’altalenante carriera scolastica delle medie. Sono elementi che scatenano il processo di identificazione, facendo leva su sentimenti di nostalgia e tenerezza tipici di chi ricorda le fasi iniziali della vita. Il tutto è condito da una pungente ironia e da un modo di raccontare che rende i ricordi molto divertenti. Andando avanti l’ironia diventa più tagliente e mette in luce contraddizioni e caratteristiche in cui rispecchiarsi che non fanno più molta tenerezza. Emblematico è il non saper decidere, tra migliaia di titoli, cosa guardare su Netflix e andare a letto sconfitti, dopo ore di trailers e trame, senza aver deciso nulla. Il Millennial capisce che la serie sta andando a toccare punti nevralgici come la perenne indecisione, l’incostanza, la paura dei cambiamenti. Roba che uno psicoanalista qualsiasi farebbe risalire all’infanzia, ma che le generazioni precedenti classificano come essere viziati e non abituati al sacrificio. Tanto basta per sentirsi inadeguati e difettosi, altre sensazioni tipiche della generazione Y.
Un climax di emozioni
Lo stato d’animo degenera, in un climax emozionale, che arriva a toccare angoscia e tristezza man mano che si giunge agli ultimi episodi. Salta fuori tutto ciò che riguarda la ricerca del lavoro, la lotta per trovare il proprio posto nel mondo e tenerselo stretto, la difficoltà ad esternare dei sentimenti e renderli concreti per paura di cambiamenti che poi, comunque, avvengono. E finisce con l’episodio finale che racconta la morte di Alice e costringe Zero a guardare la realtà in faccia. Obbliga a vedere un mondo che non da l’opportunità di crescere, esprimersi e costruire, come sarebbe nei diritti di ogni generazione. Porta a prendere atto che la vita di ognuno è indissolubilmente legata a chi lo ha preceduto e a chi lo seguirà. Un nodo alla gola prende il posto della spensieratezza con cui ci si era approcciati alla visione di una serie animata, apparentemente innocua. Ma oltre all’angoscia si è comunque pervasi da un senso di liberazione.
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Il manifesto di Zerocalcare
Sembra quasi che Zerocalcare stia urlando a nome di tutti:
“Va bene, siamo una generazione di sfigati, perché per una serie di variabili storiche, economiche e culturali, siamo nati in un momento che ha reso la nostra crescita e il nostro futuro sicuri come un terno al lotto e sereni come una roulette russa. Siamo degli adulti con un piede ancora nell’adolescenza che lottano con tutte le loro forze per lasciare un’impronta su questa terra. Ma abbiamo la fortuna di non essere soli perché la maggior parte di noi vive le stesse paure. E abbiamo dalla nostra la creatività sviluppata in anni di cambiamenti continui. Per quanto confusi e instabili, questo ci ha fatti resilienti e in grado di sopravvivere. Voi che il mondo l’avete ereditato decenni prima e ce lo avete un pochino incasinato, fate un po’ di autocritica. Abbiate fiducia e un pizzico di apertura mentale. Lasciate da parte il vostro modo di vedere e vivere la vita e consentiteci di vivere la nostra nel modo che più riteniamo adatto a noi e alle generazioni che ci seguono. E se non restiamo in quei bordi tracciati che voi avete seguito e strappato senza difficoltà, siamo comunque felici di vivere e strappare i bordi a modo nostro.”
Dopo tutte le emozioni…
Il pianto finale è assicurato. E pure qualche cicatrice sul cuore. Ma le cicatrici sono medaglie e le lacrime sono liberatorie.
Parola di Millennial.