Zeren Badar ci offre la possibilità di mettere ancora i baffi alla Gioconda, perché stravolgere e provocare non sono azioni di cui è facile stancarsi, viste le infinite possibilità di combinazioni.
Zeren Badar, artista newyorkese di origine turca è un nuovo, divertente Duchamp dadaista live in Manhattan. Guardando le sue opere pop non puoi proprio che pensare: sì, è uno di New York.
Sul suo sito è possibile vedere diverse sue opere raggruppate in raccolte tematiche. Quelle sulle quali vorrei aprire una finestra appartengono alle “Accident Series” e sono così golose, deliziose e colorate che non potevano che stimolare la mia curiosità.
Cosa c’è di intrigante nel mettere i baffi alla Gioconda come fece storia il buon vecchio Marcel Duchamp o nel riprodurre in serie lo stesso barattolo di salsa di pomodoro come ci insegnò l’eccentrico Andy Wahrol?
L’intrigo e il fascino sta nel dimostrare che tutto è arte e tutto può essere messo in discussione e stravolto, posto totalmente sotto sopra rispetto ai canoni prestabiliti. E che solo questo gesto è arte in sé e vale il tentativo dell’espressione.
Non imponete dogmi, non dettate leggi, non legiferate sui giudizi. Tenere la mente aperta serve a riconoscere che anche i Maestri possono essere mangiati e che una fontana capovolta in fondo altro non è che una latrina.
Take an object. Do something to it. Do something else to it.
Jasper Johns
“Prendi un oggetto. Fanne qualcosa. Fanne qualcos’altro”. Questa citazione trovate sul sito nella sezione di Zeren Badar riguardante questa “serie accidentale” di collage: quadri iconici, diventati famosi nella storia dell’arte, vengono stravolti, estrapolati dal loro elegante e ovattato contesto originario e incorniciati da oggetti di varia natura e da cibo apparentemente buttato a caso. Dopodiché, a composizione formata, una fotografia immortala il momento in cui il quadro incontra l’oggetto in un collage dai colori vivaci e divertenti.
A proposito di collage è stato già detto in precedenza quanto sia affascinante l’atto del sovrapporre un’immagine sopra l’altra, di quanto sia incredibile che due o più contesti totalmente distanti tra di loro riescano ad unirsi per formare una nuova linea narrativa.
Qui, però, non si tratta di sovrapporre, strato di carta dopo strato di carta, passata di colla dopo passata di colla: qua si tratta di semplice giustapposizione. Ovvero un accostamento di un materiale sopra o accanto un altro, senza però unirli in un matrimonio vincolante. Ed è qui che l’assurdo prende possesso della nostra mente, fermentando un dubbio: ma che senso ha? Prendere una stampa di un Signor Quadro Storico e metterci sopra le caramelle, per poi scoprire che, una cosa del genere, basterebbe spostarla dal piano di lavoro e sparirebbe nel nulla, sparsa sul pavimento, magari? Questa non è arte, è un capriccio, è un sacrilegio, è… è…
… veramente bellissima. Zeren Badar ci consegna, con una freschissima chiave pop, quel gusto tutto goloso che è la provocazione -e ovviamente non a tutti piace-, dimostrandoci che anche tramite questo semplice gesto si può creare qualcosa di bello. Ci sono i colori di pasticcini che hanno la stessa tinta dei volti seicenteschi che incorniciano, che sembrerebbe quasi ci sia una stretta parentela tra questi due oggetti. E poi ci sono invece i colori totalmente contradditori con i soggetti che circondano i quali, però, permettono loro di essere ancora più in risalto.
E poi c’è il divertimento. Il puro, semplice divertimento che scaturisce nel vedere un quadro circondato da cereali, caramelle, graffette e altri oggetti tra i più disparati e distanti tra loro. I collage di Badar fanno ridere, perché sono ridicoli. E sono ridicoli perché rendono quei soggetti ridicoli, ridimensionando la loro importanza.
In chiusura, tutto ciò che riesce a provocare, stravolgendo la tua mente lasciandoti però la sensazione del bello, è arte a tutti gli effetti (e affetti). È indubbiamente qualcosa che può donarti un nuovo punto di vista.
E ad essere provocati non sono, in questo caso, solo i Signori Critici e Storici Dell’Arte, lasciati di sasso davanti tale insolenza. Sono anche Gli Scettici, Gli Abituati, potremmo dire, I Soliti: coloro che dicono “ma questa è arte? Tzé, avrei potuto farlo anche io…”
A loro l’ultimo pensiero, al quale invito i restanti osservatori a guardare dalla finestra appena aperta:
avresti potuto farlo anche tu?
E perché non l’hai fatto?
Gea Di Bella