Il presidente Volodymyr Zelensky ha incontrato Papa Francesco ma il faccia a faccia tra i due lascia presagire che la pace non si farà a Roma. Per il presidente ucraino – che punta ad ottenere più armi e sostegno dagli Stati Europei – la diplomazia della Santa Sede non aiuterà l’Ucraina a vincere la guerra.
Il presidente Volodymyr Zelensky ha incontrato Papa Francesco in Vaticano nel suo viaggio in Italia lo scorso 13 maggio. Dopo il colloquio, Zelensky – rispondendo ad una domanda di Bruno Vespa a Porta a Porta – ha messo subito le cose in chiaro dicendosi onorato di aver incontro Sua Santità ma specificando che il piano per una pace giusta prevede che gli ucraini continuino la guerra perché Mosca non conosce alcuna mediazione.
Per Kiev la mediazione della Santa Sede non aiuterà a vincere la guerra
A Kiev sono sicuri che in questo momento la soluzione migliore per arrivare alla pace è continuare a combattere. Zelensky ha ribadito che la controffensiva in programma a breve potrebbe permettere all’esercito ucraino di arrivare fino in Crimea. A quel punto Putin perderebbe definitivamente il consenso interno che gli ha permesso di rimanere al potere in questo anno di guerra e sarebbe costretto a trattare la pace da una posizione di debolezza. Perciò, chi si aspettava grandi risultati dal viaggio del presidente in Vaticano è rimasto profondamente deluso.
Del resto, il numero uno ucraino non è venuto in Europa per cercare una sponda diplomatica presso il Santo Padre ma per chiedere agli alleati di rimuovere le ultime linee rosse sulla fornitura di qualsiasi tipo di armi. Al “martirio della pazienzaˮ – tanto caro al Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli – il presidente ucraino preferisce il martirio e basta, tanto da invitare anche il Papa a condividere la speciale formula di pace messa a punto da Kiev, che prevede guerra e morti senza soluzione di continuità.
Ma è bene ricordare -per obbligo di chiarezza – come anche da parte del Vaticano fino a questo momento ci sia stato soltanto un impegno umanitario e religioso e non propriamente diplomatico. Il colloquio tra il Pontefice e il presidente Zelensky ha infatti riguardato soprattutto la situazione umanitaria e politica della popolazione ucraina come riferito dal portavoce vaticano Matteo Bruni.
Può sembrare un’osservazione banale da fare, ma in questo anno di guerra il Papa ha fatto semplicemente il Papa, ribadendo la linea della misericordia e della preghiera. Sfortunatamente, però, la “diplomazia del compatimentoˮ non ha mai risolto alcun conflitto armato. E inoltre, tocca ricordare che anche in Vaticano sanno bene qual è la differenza tra la linea diplomatica ufficiale e lo slancio personale del Pontefice, nonostante quest’ultimo sia di fatto il capo dello Stato.
Il precedente: la (tentata) mediazione della guerra in Kosovo
Prendiamo il caso della missione diplomatica intrapresa dal Vaticano durante la guerra del Kosovo iniziata il 24 marzo 1999. Dopo una settimana dall’inizio del conflitto – il 1° aprile 1999 – l’arcivescovo Jean Louis Tauran si recò per conto di Papa Giovanni Paolo II a Belgrado su un aereo dell’aeronautica italiana – dopo aver ricevuto il via libera dalla NATO – con un messaggio personale del pontefice per Milosevic in cui si invocava una tregua per la Pasqua e la cessazione immediata della pulizia etnica in corso.
In quel contesto, la missione venne preparata con l’avallo di tutte le forze diplomatiche interne al Vaticano e soltanto quando gli aerei della coalizione internazionale erano pronti a bombardare. Nei mesi precedenti, infatti, lo stesso arcivescovo Tauran e l’allora segretario di Stato vaticano Angelo Sodano aveva invocato ad una sola voce l’intervento militare internazionale anche per il Kosovo – com’era già avvenuto nel 1992 in Bosnia – per disarmare l’aggressore.
La svolta diplomatica tra le mura vaticane ci fu perché Giovanni Paolo II spinse per tentare una mediazione, sicuro del fatto che quella guerra avrebbe decimato le già precarie minoranze cristiane presenti nella regione. La tregua alla fine durò soltanto quattro giorni.
Il caso della guerra in Ucraina è diverso: questa volta Papa Francesco ha fatto riferimento ad una non meglio precisata mediazione diplomatica tra Mosca, Kiev e la Santa Sede durante una conferenza stampa sul volo di ritorno dall’Ungheria, lasciando intendere il probabile coinvolgimento del primo ministro ungherese Viktor Orban e del metropolita di Budapest Hilarion, spiazzando praticamente tutti.
E sia l’occasione in cui le dichiarazioni sono state rilasciate che il fatto stesso che né a Mosca e né a Kiev fossero a conoscenza di ulteriori dettagli sui negoziati, ha fatto pensare sin da subito che si potesse trattare di uno slancio personale tentato da Bergoglio e non supportato da nessuna iniziativa diplomatica strutturata.
E poi, oltre all’assenza totale di riservatezza, c’è anche un ulteriore indizio che lascia presagire un vero e proprio stallo tra la Santa Sede e Kiev, ossia la freddezza nei toni. La fredda cordialità evidenziata da entrambe le parti riguardo ad un’astratta necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la pace è la dimostrazione che fino ad oggi una missione diplomatica vera da parte del vaticano non c’è mai stata così come non c’è mai stata una vera trattativa di pace a livello internazionale.
Tommaso Di Caprio
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