Zebre a pois: una mutazione innocua o una minaccia per la specie?

Secondo uno studio americano, le zebre a pois o con manto dorato sono l’effetto di una mutazione genetica di per sé innocua. Tuttavia, ancora si conoscono poco le possibili implicazioni di questa anomalia sull’evoluzione della specie.

La zebra a strisce

Appartiene alla famiglia degli equidi ed è comunemente conosciuta come la zebra delle pianure (Equus quagga), perché vive in un’ampia regione dell’Africa sub-sahariana. Caratterizzata dalla presenza di strisce sul manto, tale fenotipo è in realtà piuttosto variabile, in termini di estensione e intensità di colore delle strisce. Purtroppo, dal 2002 la popolazione totale ha subito un calo del 25% circa, soprattutto in risposta alla frammentazione degli habitat, un fenomeno che limita il flusso genico fra le popolazioni. Infatti, sebbene le zebre siano in grado di muoversi su lunghe distanze (circa 1000 km andata e ritorno), le attività antropiche ostacolano gli spostamenti, favorendo invece l’inincrocio, da cui sembra dipendere l’aumento in frequenza di zebre a pois.




Le mutazioni

Definite come variazioni spontanee o indotte (es. agenti mutageni) del materiale genetico, esse sono ereditabili. La loro comparsa nelle specie animali è un fenomeno normale, che talvolta coinvolge il fenotipo dell’esemplare, conferendogli una morfologia anomala. In genere, queste particolarità rimangono rare e non sono pericolose per le popolazioni, ma, qualora aumentino in frequenza, potrebbero suggerire un eccesso di consanguineità. Invece, la perdita di variabilità genetica è un pericolo per la specie e può portare anche all’estinzione, se non monitorata. Le zebre a pois o con manto dorato sono il risultato della combinazione di più mutazioni genetiche rare, le quali negli ultimi anni si osservano con maggiore frequenza. Tale evidenza ha suggerito l’ipotesi secondo cui la salute genetica di questa specie stia peggiorando e, quindi, necessiti di un monitoraggio continuo.

La genetica delle zebre a pois

Stando alle conoscenze attuali, queste mutazioni non causano un’anomalia nella sintesi della melanina ma, piuttosto, influenzano lo sviluppo del classico manto striato. Infatti, la zebra a pois mostra un’interruzione delle strisce nella regione della sella, dove compaiono invece delle macchie. Esiste anche un’altra variante, detta zebra melanica, che mostra una maggiore densità di strisce scure sul busto, mentre sulle estremità del corpo esse si riducono drasticamente. In genere, hanno una vitalità più bassa e, per spiegare ciò, sono state avanzate alcune ipotesi. Ad esempio, una singola mutazione potrebbe avere un effetto pleiotropico oppure il fenotipo risultante essere più vulnerabile alla predazione. Questo studio si è focalizzato sull’ipotesi di una maggiore consanguineità, un fenomeno che, riducendo la variabilità genetica, abbassa anche la fitness e la vitalità dell’animale.




Lo studio

Pubblicata su Molecular Ecology, la ricerca di Brenda Larison ha indagato il fenomeno delle zebre a pois attraverso una serie di test genetici. Infatti, tale specie mostra da sempre un’alta variabilità in termini di estensione e intensità di colore delle strisce, ma la conformazione a pois era estremamente rara, almeno fino a qualche anno fa. Il team di esperti ha testato tre ipotesi:

  1. Qual è l’attuale tasso di variabilità genetica nelle popolazioni di zebra della pianura?
  2. Quanto la frammentazione degli habitat è correlata alla consanguineità?
  3. Quali sono le conseguenze di una ridotta variabilità genetica?

I risultati

È stato raccolto un campione di DNA da 140 zebre, di cui 7 con manto a pois, distribuite in nove parchi nazionali differenti in Africa. Le analisi hanno evidenziato una minore variabilità genetica nelle popolazioni in cui il flusso genico è ridotto a causa della frammentazione degli habitat e, inoltre, nelle zebre a pois la consanguineità è ancora più evidente. In particolare, è stata osservata anche una netta divergenza genetica tra le varie popolazioni, soprattutto tra quelle meridionali e orientali. Ad esempio, in due località dell’Africa orientale, Mburo e Kidepo, l’influenza della deriva genetica e dell’inincrocio è molto forte, perché le due popolazioni sono estremamente isolate.

Le barriere stagionali

Lo studio ha evidenziato che le due popolazioni di Kidepo e Laikipia sono molto simili tra loro, ma molto diverse da quella di Mburo. Uno dei principali ostacoli al flusso genico è sicuramente il fiume Nilo Bianco, una barriera geografica che interessa ormai da tempo le popolazioni di bufalo nero (Syncerus caffer caffer).

bufalo nero zebra a pois
Bufalo nero (Syncerus caffer caffer)

Tuttavia, anche lo sfasamento temporale tra la stagione delle piogge nelle zone settentrionali e meridionali potrebbe influire sull’isolamento delle popolazioni. Infatti, a nord dell’Equatore i mesi piovosi sono luglio-agosto, mentre a sud le piogge si concentrano nel periodo dicembre-marzo. In genere, il periodo riproduttivo delle zebre coincide proprio con la stagione piovosa, pertanto, se quest’ultima è diversa, le possibilità di incrocio tra le popolazioni diminuiscono drasticamente.

Un problema per la conservazione

“Anche se le zebre non sono attualmente minacciate”, come afferma Brenda Larison, la frequenza di queste anomali genetiche potrebbe essere un campanello d’allarme. Pertanto, è opportuno non sottovalutare quanto emerso dallo studio, poiché recuperare il pool genico di una specie non è un compito facile. Ad oggi, circa 500 mila zebre sono state influenzate dalla frammentazione dell’habitat e, infatti, ci sono diverse popolazioni isolate che, non potendo migrare, mettono a rischio la variabilità genetica della specie. Purtroppo, in alcune zone si contano ormai meno di 200 esemplari e il fenomeno della consanguineità ha già fatto molti danni, aumentando la frequenza delle mutazioni rare e abbassando il tasso di vitalità della specie.

Isolamento e speciazione

Indipendentemente dal problema della consanguineità, l’isolamento favorisce anche i fenomeni di speciazione, ovvero di comparsa di nuove specie. Ad esempio, la zebra di pianura conta già diverse sottospecie, che potrebbero aumentare a seguito della frammentazione degli habitat. A tal proposito, avere un quadro completo di tutte le linee genetiche presenti è fondamentale per comprendere quando si è effettivamente di fronte a una nuova sottospecie. Infatti, una delle strategie migliori per limitare l’inincrocio è spostare selettivamente gli esemplari da una popolazione all’altra, ma questo può essere fatto solo quando “si ha una profonda consapevolezza di quali popolazioni possono essere avvicinate”.




Le strisce confondono i leoni?

È piuttosto diffusa l’idea che le strisce aiutino le zebre a mimetizzarsi nella savana per sfuggire ai predatori. Tuttavia, questa tesi è stata messa in discussione nel 2012, quando uno studio americano avanzò l’ipotesi che servissero invece a evitare le mosche. Nel 2016, un altro progetto di ricerca, basato sul simulare la visione dei predatori, ha ulteriormente smentito l’ipotesi della mimetizzazione. Infatti, le strisce non confondono il predatore, perché, quando vede la striatura, ha già fiutato e identificato la preda. Nonostante queste evidenze, l’utilità del manto striato nelle zebre è ancora oggi oggetto di ricerca e di dibattito nella comunità scientifica.

Un’origine condivisa, un’evoluzione divergente

Parente stretta dei cavalli e degli asini, la zebra rimane però un animale selvaggio, che non siamo riusciti a addomesticare. Tre specie uno stesso antenato comune,

Hyracotherium

l’Hyracotherium, ma destini diversi, soprattutto in relazione all’uomo. I cavalli condividono con noi una storia lunga e antica, scritta ieri tra i campi di battaglia e oggi prevalentemente in quelli sportivi. Fonte di cibo, mezzo di trasporto, ausilio al lavoro e animale da compagnia, il cavallo accompagna lo sviluppo della civiltà umana già da 10 mila anni.

Ma la zebra no. Preda anche lei, ha però conservato nel tempo un adattamento straordinario al suo ambiente naturale, sviluppando capacità di fuga e di difesa uniche nel mondo animale.

È strano, da secoli vive in un habitat dominato da grandi predatori, eppure oggi soffre il nemico più ostile di tutti, l’uomo, che sembra quasi farle pagare la sua perseveranza nei confronti di un’indole troppo selvaggia per accettare un destino condiviso.

Carolina Salomoni

 

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