25 novembre 1970, mercoledì. Cinquant’anni fa lo scrittore di fama internazionale Yukio Mishima si suicida in diretta TV. Per la precisione, commette un seppuku, l’antico atto del suicidio rituale obbligatorio o volontario che era appannaggio della casta dei samurai.
Perché Yukio Mishima aveva preso questa decisione? Per capirlo occorre fare un passo indietro e tornare alla sconfitta del Giappone del 1945.
La Seconda Guerra Mondiale
Alla fine del 1941 il Giappone attacca la flotta statunitense a Pearl Harbor, facendo il suo ingresso sul palco della Seconda Guerra Mondiale. Nell’estate del 1945 la guerra in Europa si è già conclusa con la vittoria degli Alleati, mentre i combattimenti nel continente asiatico proseguono. È già chiaro che il Giappone avrebbe perso la guerra: le forze alleate hanno conquistato terreno e bloccato le importazioni navali.
Tuttavia, l’esercito giapponese continua a combattere, in rispetto dei principi del bushido, il codice di condotta dei samurai. Tra i suoi punti fondamentali ci sono il rispetto per la figura dell’imperatore e l’assoluto disprezzo per il nemico che si arrende. L’inaccettabilità della resa e la ricerca di una morte onorevole in combattimento spingono molti a continuare a combattere e anche a offrirsi come kamikaze. C’è chi continuerà a combattere anche dopo la fine della guerra.
Il 26 luglio 1945 Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina rilasciano la Dichiarazione di Potsdam. In essa espongono le condizioni per la resa incondizionata del Giappone. Tra i termini ci sono lo smantellamento dell’esercito e la riduzione dell’impero ai territori posseduti fino al 1894. La dichiarazione si conclude così:
Noi chiediamo al governo del Giappone di proclamare in breve tempo la resa incondizionata […]. L’alternativa per il Giappone è l’immediata e totale distruzione.
I giapponesi non rispondono. Il 6 e 9 agosto gli Stati Uniti sganciano le prime bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Solamente allora l’imperatore Hirohito decide di ordinare la resa.
Uno scrittore patriottico: Yukio Mishima
Mentre il Giappone crolla, Yukio Mishima sta iniziando la sua carriera di scrittore. Nato a Tokyo nel 1925 con il nome di Kimitake Hiraoka, Mishima è stato uno dei pochi autori giapponesi a riscuotere successo anche all’estero. Educato presso il Gakushūin, una severa istituzione scolastica e culturale, il giovane si avvicina ben presto al mondo della letteratura. Completa il racconto Hanazakari no Mori (La foresta in fiore) già nel 1941 e riesce a farlo pubblicare in un libro nel 1944.
Nello stesso periodo si accosta agli ambienti intellettuali di sinistra, forse solo per cercare di ottenere i giusti contatti. Yukio Mishima è infatti un patriota tradizionalista, sconvolto come tanti dalla dichiarazione rilasciata dall’imperatore.
Nel 1949, intanto, pubblica Kamen no Kokuhaku (Confessioni di una maschera), in cui l’autore racconta l’evoluzione della propria omosessualità. Con quest’opera semi-autobiografica, Mishima ottiene grande successo e il riconoscimento della critica. Due anni dopo il Giappone firma il Trattato di San Francisco: l’Impero viene smilitarizzato ed è tenuto a versare risarcimenti ai paesi danneggiati.
Nello stesso anno Mishima visita Brasile, Stati Uniti ed Europa come corrispondente dell’Asahi Shinbun. In Grecia resta colpito dall’ideale di bellezza classica. In seguito inizia a dedicarsi al culturismo e alla pratica delle arti marziali, in particolare del kendo. Negli anni Sessanta è ormai un noto personaggio pubblico.
Nel 1968 Mishima fonda il Tate no Kai (Associazione degli Scudi), un mini-esercito paramilitare composto soprattutto da studenti universitari. Secondo lo scrittore, il Tate no Kai avrebbe una funzione simbolica, a salvaguardia dello spirito tradizionale giapponese e dell’imperatore. Yukio Mishima vuole manifestare in maniera attiva – e non solo letteraria – il suo rifiuto contro la sottomissione di fatto del Giappone agli Stati Uniti.
Ultimo atto: il seppuku di Yukio Mishima
La mattina del 25 novembre 1970 Yukio Mishima esce di casa. Ha da poco consegnato al suo editore l’ultima parte del suo ultimo romanzo Hōjō no umi (Il mare della fertilità). Tutto è pianificato da tempo.
Insieme a quattro membri del Tate no Kai occupa l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa. Mishima esce sul balcone dell’ufficio e tiene il suo ultimo discorso, di fronte all’esercito, ai giornalisti e agli operatori televisivi. Il discorso fa parte di Proclama, uno dei cinque saggi contenuti nella sua opera Lezioni spirituali per giovani samurai (1968-1970):
Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo.
Dopo aver terminato il discorso, Mishima rientra nell’ufficio e pone fine alla propria vita tramite il seppuku. Questa forma di suicidio permetteva al samurai di evitare la pena capitale, di manifestare cordoglio o di protestare per un’ingiustizia subita. Yukio Mishima esegue il rituale, infliggendosi un taglio profondo nell’addome (da sinistra verso destra e poi verso l’alto) e poi facendosi decapitare, come da tradizione.
Con il seppuku, azione al tempo stesso simbolica e concreta, Mishima consacra la sua vita al Giappone e diventa noto in tutto il mondo. Proprio quella stessa mattina, prima di uscire di casa, aveva lasciato un biglietto sulla sua scrivania:
La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre.
Rachele Colasanti