Yasuní, un anno dopo: la lotta contro il petrolio continua

Nonostante il voto, l'estrazione nel Parco Yasuní non si ferma

Yasuní, un anno dopo: la lotta contro il petrolio continua

Yasuní, un anno dopo: la lotta contro il petrolio continua

Un anno dopo il referendum in cui l’Ecuador ha votato per fermare l’estrazione del petrolio nel Parco Nazionale Yasuní, la situazione si presenta complessa e piena di incognite. Il 20 agosto 2023, il popolo ecuadoriano ha preso una decisione storica per proteggere una delle aree più ricche di biodiversità del pianeta, situata nel cuore dell’Amazzonia orientale. Eppure, nonostante il mandato popolare e l’ordine della Corte Costituzionale, il Governo del Paese sembra essere ancora lontano dal rispettare l’impegno preso.

Il Parco Nazionale Yasuní è noto non solo per la sua straordinaria biodiversità, ma anche per essere il territorio ancestrale di popolazioni indigene isolate, come i Waorani, la cui esistenza è strettamente legata alla salute della foresta. Tuttavia, un anno dopo il referendum, la chiusura del primo pozzo di petrolio (Ishpingo B-56), parte del Blocco 43-ITT, situato all’interno del parco, è avvenuta solo il 28 agosto 2024.

Cio evidenzia vhe i progressi sono stati minimi, limitati principalmente alla creazione di una commissione incaricata di supervisionare l’implementazione dei risultati del referendum, ma senza il coinvolgimento delle comunità indigene.

L’avvio della chiusura di questo primo pozzo di petrolio segna l’inizio di un processo che coinvolgerà 247 pozzi produttivi e che è pianificato per durare oltre cinque anni. Le autorità assicurano che l’operazione sarà condotta in modo da minimizzare l’impatto ambientale e proteggere le comunità locali.

La compagnia petrolifera statale, Petroecuador, ha continuato ad operare nel Blocco 43-ITT, con una produzione giornaliera di oltre 50.000 barili di petrolio tra gennaio e giugno 2024. Questa produzione rappresenta solo una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente, dimostrando che le operazioni petrolifere sono ancora ben radicate nonostante l’impegno a fermarle. Il ritardo ha suscitato preoccupazione tra i leader indigeni, come Gilberto Mincaye Nenquimo Enqueri, ex presidente della Nazionalità Waorani dell’Ecuador (NAWE), che ha sottolineato come le popolazioni indigene non siano state coinvolte nel processo decisionale.

La situazione politica ed economica dell’Ecuador ha complicato ulteriormente l’attuazione dei risultati del referendum. Il Presidente Daniel Noboa, di fronte a una grave crisi nazionale caratterizzata da violenza, instabilità economica e un pesante indebitamento, ha dichiarato a gennaio 2024 che potrebbe prendere in considerazione una moratoria sui risultati del referendum. La dipendenza dell’Ecuador dalle entrate petrolifere, necessarie per stimolare la crescita economica e pagare i debiti del paese, è stata indicata come una delle ragioni principali per una possibile sospensione delle operazioni di chiusura del Blocco 43-ITT.




Noboa ha fatto riferimento al contributo significativo del settore petrolifero alle entrate statali, stimando che la chiusura del Blocco 43-ITT potrebbe far perdere all’Ecuador circa 1,2 miliardi di dollari all’anno. Tuttavia, un gruppo di oltre 20 economisti provenienti da istituzioni prestigiose come la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador e l’Università di Guayaquil ha contestato queste cifre, sostenendo che le previsioni economiche ufficiali sono troppo ottimistiche. Secondo i loro calcoli, i ricavi petroliferi del Blocco 43-ITT potrebbero variare tra i 275 e i 510 milioni di dollari all’anno fino al 2030, con una media intermedia di 393 milioni di dollari all’anno.

Gli economisti hanno anche proposto alternative economiche alle trivellazioni petrolifere nello Yasuní, sostenendo che potrebbero generare più di 1,7 miliardi di dollari all’anno, superando di gran lunga le entrate previste dal proseguimento dell’attività estrattiva. Tra queste alternative, spiccano la riduzione del divario fiscale, che potrebbe portare a un aumento delle entrate fiscali di 379,3 milioni di dollari all’anno, e una serie di riforme fiscali volte a migliorare la riscossione delle imposte e a formalizzare il lavoro.

Un’altra proposta è la riduzione della spesa fiscale, che potrebbe fruttare più di 641 milioni di dollari all’anno. Inoltre, si suggerisce l’introduzione di un’imposta permanente sul patrimonio, sia per gli individui che per le aziende, che potrebbe generare 321,6 milioni di dollari annualmente. Queste misure, combinate con un aumento dell’aliquota dell’imposta sul reddito per i grandi istituti finanziari, potrebbero fornire al governo le risorse necessarie per compensare la perdita di entrate derivante dalla chiusura delle operazioni petrolifere nello Yasuní.

Mentre il governo ecuadoriano valuta queste proposte, le comunità indigene, come i Waorani, continuano a cercare soluzioni alternative per sostenere le proprie economie. Nenquimo di NAWE ha sottolineato l’importanza di sviluppare una bioeconomia basata su attività sostenibili, come la vendita di prodotti artigianali e bevande energetiche derivate da piante locali. Tuttavia, ha anche evidenziato la necessità di un supporto finanziario diretto alle comunità, evitando intermediari che spesso limitano l’impatto positivo di tali iniziative.

Il fallimento del governo nel rispettare la scadenza stabilita dalla Corte Costituzionale per la chiusura del Blocco 43-ITT potrebbe avere gravi conseguenze, non solo per le popolazioni indigene isolate della regione, ma anche per l’ambiente globale. Il Parco Nazionale Yasuní è una delle aree più ricche di biodiversità al mondo, con un solo ettaro di foresta che ospita più specie di alberi di quante ne siano presenti negli Stati Uniti e in Canada messi insieme. La perdita di questa biodiversità potrebbe aumentare il rischio di instabilità climatica a livello globale.

Inoltre, la deforestazione legata all’espansione delle operazioni petrolifere continua a minacciare l’integrità del parco. Nel 2016, l’area deforestata nel Blocco 43-ITT era di 77 ettari, ma nel 2022 era aumentata a circa 300 ettari. La continua perdita di foresta non solo mette in pericolo la biodiversità, ma minaccia anche la sopravvivenza delle comunità indigene che dipendono dalla foresta per la loro sopravvivenza.

Un futuro incerto per Yasuní e per l’Ecuador

A questo punto, il futuro del Parco Nazionale Yasuní rimane incerto. Il governo dell’Ecuador si trova di fronte a una decisione difficile: rispettare la volontà popolare espressa nel referendum e proteggere uno degli ecosistemi più importanti del mondo, o cedere alle pressioni economiche e continuare a sfruttare le risorse petrolifere del parco. Qualunque sia la decisione, avrà ripercussioni profonde non solo per l’Ecuador, ma per l’intero pianeta.

Il referendum del 20 agosto 2023 rappresenta una pietra miliare nella lotta per la conservazione ambientale e i diritti delle popolazioni indigene. Tuttavia, senza azioni concrete da parte del governo e un impegno reale per la protezione del Parco Nazionale Yasuní, il rischio è che questa storica decisione rimanga solo un simbolo, senza reali conseguenze sul terreno. Il tempo sta scadendo, e la responsabilità di proteggere lo Yasuní ricade ora sulle spalle del governo ecuadoriano e della comunità internazionale.

 

 

Felicia Bruscino

 

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