Sono passati 11 anni dalla morte della tredicenne Yara Gambirasio, uno dei casi di cronaca nera più discusso degli ultimi anni, tornato alla luce grazie al nuovo film di Marco Tullio Giordana disponibile su Netflix. Eppure, ancora oggi non è del tutto chiaro come si arrivò ad individuare un colpevole, incastrato dal test del DNA
Ma cos’è un test del DNA?
Il test di DNA, è un particolare tipo di analisi che sfrutta una potente caratteristica della molecola. Il DNA è costituito da quattro componenti o basi azotate Adenina, Guanina, Citosina e Timina unite tra loro a formare una doppia elica e infine i cromosomi. La combinazione delle basi azotate forma i “geni” che determinano gran parte delle nostre caratteristiche. Il DNA non è tutto uguale, si divide in DNA codificante ovvero i geni e DNA non codificante cioè una parte che non contiene geni ma porzioni adibite ad altre funzioni ancora non del tutto note. Questo DNA non codificante presenta una piccola percentuale composta da piccole sequenze di basi azotate ripetute più volte chiamate Microsatelliti. La peculiarità di queste ripetizioni è che sono diffuse per tutto il DNA e sono specifiche per ogni individuo. Infatti, ognuno di noi ha un DNA che deriva dalla combinazione del patrimonio genetico dei genitori. I protocolli di laboratorio si sono sviluppati per individuare un particolare insieme di microsatelliti in modo da estrapolare un vero e proprio identikit da una traccia biologica. I microsatelliti che si analizzano sono stati concordati dalla comuità scientifica internazionale in modo da poter interpretare i risultati in modo univoco.
Il DNA re dell’indagine
L’indagine del caso Yara è partita dall’analisi dei vestiti della vittima e degli oggetti rinvenuti nel luogo del ritrovamento del cadavere. In particolare dagli slip della vittima è stato possibile isolare ed estrapolare un DNA appartenente a quello che gli inquirenti identificarono come Ignoto1. Dati i residui di ossido di calcio presenti sulla vittima, si sono eseguiti prelievi del DNA sui lavoratori delle ditte edili dell’intera provincia di Bergamo. In un secondo momento si è estesa l’analisi su tutti i soggetti i cui telefoni cellulari sono transitati nelle celle interessate, tutti i soci di una discoteca nelle vicinanze “Le Sabbie Mobili”, familiari della vittima, compagni di classe e relativi genitori. In totale si eseguirono circa 16.000 prelievi di DNA tramite tamponi salivari.
A seguito del processamento di questi tamponi si è ottenuto un primo riscontro con un certo Damiano Guernioni, socio della discoteca “Le Sabbie Mobili” che al momento della scomparsa di Yara si trovava in Perù.
Gli inquirenti di conseguenza intuirono che Ignoto1 e Damiano Guernioni in qualche modo erano imparentati.
Ma perchè?
Il DNA negli alberi genealogici
Ingnoto1 e Damiano Guernioni condividono l’essere uomini che tradotto in linguaggio genetico significa che entrambi presentano il cromosoma Y. La caratteristica del cromosoma Y è che si trasmette senza modifiche per via patrilineare, cioè tutti gli individui maschili che discendono da un progenitore comune hanno lo stesso cromosoma Y e quindi gli stessi microsatelliti.
Gli inquirenti alla luce di questa scoperta iniziarono a concentrarsi sulla famiglia di Damiano Guernioni per cercare di individuare Ignoto1. Si sottoposero ad analisi tutti i parenti ancora in vita di quest’ultimo risalendo fino al nonno Battista Guernioni e ricostruendo l’albero genealogico della famiglia. Una corrispondenza si ottenne Ignoto1 e un certo Pierpaolo Guernioni. Pierpaolo Guernioni, figlio di Giuseppe Benedetto Guernioni deceduto nel 1999, ma estraneo alle indagini in quanto senza figli e residente a Frosinone. Pertanto l’unica spiegazione possibile è che Ignoto1 fosse figlio illegittimo di tale Giuseppe Benedetto Guernioni.
La prova finale
Per verificarlo, i periti confrontarono il DNA di Giuseppe Benedetto Guernioni, ricavato da saliva presente su vecchi francobolli, con quello di Ignoto1 riscontrando una paternità con percentuale del 99,99929%. Questa informazione, permise di circostrivere le indagini rintracciando le donne che Giuseppe Benedetto Guernioni aveva frequentato nel corso della vita. Si ritrovò nel profilo di tale Ester Azzuffi il restante 50% del DNA che componeva il profilo di Ignoto1. Gli inquirenti si concentrarono perciò sui figli della donna. In particolare sul figlio maggiore Massimo Giuseppe Bossetti, muratore, nato in un periodo vicino al trasferimento della donna nel paese di Brembate. Per ricavare il DNA da quest’ultimo, si usò come espediente un fermo e un alcoltest. Il tampone salivare ricavato confermò il profilo genetico uguale a quello di Ignoto1.
Il test del DNA è uno strumento potente che con l’avanzare delle scienze forensi si spera di ottimizzare per dare giustizia alle vittime come nel caso della piccola Yara.
Silvia Conforti