Condanna a morte per impiccagione: è la sentenza emessa dall’Alta Corte della Shari’a di Kano nei confronti di Yahaya Sharif Aminu, un cantante nigeriano ventiduenne accusato di blasfemia.
La condanna del giovane Yahaya Sharif Aminu
Yahaya Sharif Aminu è un cantante gospel di religione islamica originario dello stato di Kano, nel nord della Nigeria. Un volto poco noto, tristemente saltato alla ribalta per essere stato accusato di blasfemia. A febbraio aveva diffuso via Whatsapp alcuni suoi testi in cui esalta un imam della tariqa Tijanniyya, ordine sufi di origine senegalese. In molti esponenti del mono religioso hanno giudicato le parole del giovane dissacranti nei confronti del profeta Maometto.
A marzo, una folla vociante e inferocita si è abbattuta sulla casa del cantante, dandola alle fiamme. I facinorosi non hanno riportato alcuna denuncia per i disordini causati. Yahaya Sharif Aminu, invece, è stato arrestato. Successivamente, il 10 agosto, l’Alta Corte della Shari’a lo ha condannato alla pena di morte per impiccagione. Il leader della protesta, Idris Ibrahim, ha dichiarato alla BBC che “questo servirà da deterrente per gli altri che credono di poter insultare la nostra religione o il nostro profeta e andarsene in giro senza problemi”.
La pena capitale e la Shari’a
La pena capitale è ancora diffusa in Nigeria e costituisce un punto controverso del sistema giuridico del paese. Sebbene la costituzione nigeriana garantisca il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione e alla libertà di espressione, il codice penale proibisce la blasfemia.
I difensori dei diritti umani continuano ad avere seri dubbi circa la sommarietà dei processi e l’arbitrarietà delle condanne, e richiedono a gran voce che la pena di morte venga abolita.
La condanna a morte per blasfemia è in vigore negli stati musulmani del nord della Nigeria che hanno adottato la Shari’a, la legislazione islamica. In caso di pena capitale, la condanna deve essere ratificata dal governatore dello stato. La Shari’a è entrata in vigore nel 1999. Da allora, solo un condannato è stato effettivamente giustiziato. Nel 2002, il ventisettenne Sani Yakubu venne impiccato per aver ucciso una donna e i suoi due figli.
Dopo la sentenza, Yahaya Sharif Aminu ha presentato ricorso in appello. Attualmente si trova in custodia cautelare nella prigione di Kano. Rischia di morire impiccato per aver messo in musica il suo pensiero, per aver esercitato il suo diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
I difensori dei diritti umani si schierano per Yahaya Sharif Aminu
I difensori dei diritti umani hanno subito lanciato l’allarme. In un comunicato del 28 settembre gli esperti dell’ONU si dicono “profondamente preoccupati”, non solo per le minacce di morte ricevute dal giovane cantante, ma soprattutto per “la grave mancanza di un processo giusto”. Nel comunicato dell’ONU si legge ancora che “l’espressione artistica di un’opinione …, attraverso canzoni o altri media… è protetta dalla legge internazionale. … L’applicazione della pena di morte per espressioni artistiche ….. è una violazione flagrante della legge internazionale dei diritti umani”. Più voci inoltre denunciano la detenzione in incommunicado di Yahaya Sharif Aminu, a cui non è stato permesso ricorrere a un avvocato, né vedere i suoi famigliari.
Secondo Frederick A. Davie, avvocato dell’USCIRF, la commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale, “è inconcepibile che Sharif Aminu debba affrontare una condanna a morte semplicemente per aver espresso artisticamente la sua fede”. Da un’indagine dell’USCIRF emerge una tendenza preoccupante della Nigeria, sempre più incline ad atteggiamenti incostituzionali che violano la legge sulla libertà religiosa internazionale del 1998.
Amnesty International ha rivolto un appello al Governatore Abdullahi Umar Ganduje affinché non firmi il mandato e rilasci Yahaya Sharif Aminu. Anche il mondo social si è mobilitato, lanciando una petizione per abrogare la condanna a morte del ventiduenne nigeriano e per abolire il reato di blasfemia in Nigeria.
Giustizia per Yahaya Sharif Aminu
Non è possibile, nel 2020, morire per aver dato voce alle proprie idee. Yahaya Sharif Aminu non è un criminale e non merita di essere impiccato. Ha il diritto di tornare a cantare.
La pena capitale non rispetta i valori dell’uomo, è crudele e iniqua. La pena di morte per blasfemia è ancora più aberrante: è terrorismo ad opera dello stato. È un cappio al collo alla libertà d’espressione e all’autodeterminazione dell’individuo.
“Le leggi sulla blasfemia non sono coerenti con gli standard universali dei diritti umani perché non rispettano i diritti riconosciuti”, sostiene Tony Perkins, vicepresidente dell’USCIRF.
Camilla Aldini