Woody Allen contestato a Venezia. Sul red carpet le manifestazioni mettono in dubbio la possibilità di separare arte da artista.
L’ottantesima edizione del Festival del Cinema di Venezia è in corso, e anche quest’anno ha visto sorgere controversie. Un anno fa, è stato il bizzarro gate del film Don’t Worry Darling e tutte le speculazioni annesse, ma quest’anno la questione si fa ben più seria. Il 2023 è stato un anno caratterizzato da lotte e manifestazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione dei femminicidi e sul problema più ampio della cultura patriarcale in Italia. Si sono tenute rivolte organizzate per denunciare anche eventi accaduti in tutto il mondo, come il caso della morte di Mahsa Amini, oggi simbolo internazionale nella lotta contro gli abusi e la condizione attuale delle donne.
Le manifestazioni femministe non si sono fermate neanche durante il red carpet di Venezia, che ha visto un gruppo di circa 30 persone, uomini e donne, riunitesi davanti il simbolico tappeto rosso per protestare contro Woody Allen, presente con il proprio film nella categoria dei “Fuori Concorso”. Egli è stato accusato di molestie sessuali, ma l’hanno rilasciato per ben due volte. Il suo è un profilo che fa molto discutere, ma la cui l’arte ha donato un grande contributo al panorama cinematografico mondiale. Il regista si presenta quest’anno – dopo sei anni di assenza – con il film Coup de Chance, il suo cinquantesimo lungometraggio, una dark comedy vicina alla serie di opere che lo hanno portato alla sua carriera di successo.
Le contestatrici protestano a sostegno delle vittime di violenze e abusi sessuali e contro l’assenza – da parte dell’organizzazione del Festival – di interessamento verso le tematiche contro cui si cerca di lottare da anni al fine di promuovere una cultura basata sul consenso. «Spegnete i riflettori sugli stupratori», hanno gridato le manifestanti, le quali attraverso un flash mob hanno hanno contestato a Venezia, non solo la presenza di Woody Allen, ma anche quella di altri tre registi quali Luc Besson in concorso con Doman e di Roman Polanski con The Palace, tutte figure coinvolte in procedimenti penali per casi di abusi e violenze sessuali.
«Quest’anno la Biennale del cinema di Venezia ha scelto di dare spazio a registi coinvolti in vicende di violenze sessuali contro donne, anche minorenni. Le scuse, accampate dal direttore della Mostra Alberto Barbera, seguono il vecchio copione della distinzione tra uomo, responsabile davanti alla legge, e l’artista il cui genio non è mai giudicabile poiché superiore e libero da responsabilità terrene».
Non sarà questa la sede in cui parleremo della veridicità o meno delle accuse, ma ci interrogheremo sulla questione della figura dell’artista, reso in quanto tale icona intoccabile grazie alla costruzione della fama e alla creazione di opere ormai parte inscindibile dell’immaginario collettivo attuale.
Qui sorge spontanea la domanda che tormenta ogni persona che si è trovata davanti ad una scelta etica: noi fan, spettatori, consumatori di arte, come dovremmo comportarci davanti ad un’opera prodotta da una persona umanamente “pericolosa”?
È possibile scindere l’arte dall’artista?
Parlando di questo argomento si può far riferimento ad una lunga serie di celebrità al centro del dibattito pubblico per scelte etiche, pensieri o comportamenti in contrasto con i diritti civili, umani e di libertà: si pensi a J.K. Rowling e ai suoi commenti transfobici che hanno spaccato in due una fan base solida costruita negli anni grazie all’intramontabile saga di Harry Potter. Sicuramente non è facile prendere una scelta, ma di certo è indiscutibile che razzismo, omofobia, transfobia, sessismo e veri e propri abusi siano sbagliati. Si tratta di decidere se rinunciare alle opere cinematografiche, artistiche, musicali o continuare a fruirne sapendo però di perpetuare non solo il guadagno di ogni autore, ma anche il privilegio dell’intoccabilità.
In quest’ultimo caso avviene la separazione tra arte e artista e l’accettazione che quelle opere lì sono figlie di autori umanamente problematici. Per tanti altri, invece, fruire dell’opera vuol dire entrare in contatto con il pensiero dell’artista e qui entrano in gioco anche i suoi stessi ideali e l’influenza di valori che hanno permesso la creazione di determinati prodotti culturali. In questo caso arte e artista sono inscindibili ed entra in gioco la moralità di ogni fan.
«Non fareste mai sfilare sul red carpet chi ha agito, solo per citare gli ultimi casi, gli stupri di Palermo, Caivano e Milano», continuano le manifestanti.
Sicuramente per quanto riguarda i casi citati si tratta di atti effettivamente compiuti mentre molte volte le celebrità risultano innocenti. Bisogna capire però se è effettivamente così o se il merito va alla loro posizione privilegiata e all’insabbiamento dei potenziali reati: è giusto nutrirsi del beneficio del dubbio.
In conclusione, il quesito in merito alla separazione tra arte e artista non può avere una risposta universale, ma entra in gioco l’individuo con i suoi ideali e la freddezza o meno nel considerare un’opera come un prodotto preso e giudicato oggetto artistico in quanto tale. Si tratta di una situazione diversa quando si è davanti a gruppi di potere il cui peso culturale si riversa anche sui valori sociali attuali. E in questo caso entra in gioco la responsabilità e l’influenza che questa portata di eventi hanno nel considerare la legittimità di un artista, a scapito dei danni commessi.