Wikileaks, giustiziere della trasparenza
Ha destato particolare scalpore la notizia degli ultimi documenti pubblicati da Wikileaks, l’ultima impresa al limite della legalità dall’organizzazione “giustiziera” della trasparenza.
“Vault 7” il nome dell’ultimo fascicolo pubblicato, vittima il CCI della CIA. Emerge dai il cyberspionaggio del reparto più oggetto di dibattito e meno conosciuto della CIA, impegnato nella ricerca e nello sviluppo di software, tra malware e studio di virus informatici.
Ultime notizie sul caso, informano dell’indagine penale avviata dagli USA per lo spionaggio tecnologico, mentre FBI e servizi segreti sono alla caccia della talpa che ha fornito le informazioni a Wikileaks.
La questione ha aperto nuovamente il dibattito intorno al tema della privacy e del trattamento dei dati personali, principio costituzionalmente garantito in Italia, ma anche negli States – quarto emendamento.
Il diritto
“Non sarà violato il diritto dei cittadini di godere della sicurezza personale, della loro casa, delle loro carte e dei loro beni, di fronte a perquisizioni e sequestri ingiustificati; e non si rilasceranno mandati di perquisizione se non per motivi sostenuti da giuramento o da dichiarazione solenne e con descrizione precisa del luogo da perquisire e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare”.
Il senso della norma in termini storici sta nell’inviolabilità del cittadino americano stesso nei confronti della possibilità di una nuova invasione. Una frase necessaria in una fase storica – quella della stesura della norma – in cui gli inglesi ancora depredavano i beni dei cittadini e, in particolare, del popolo indigeno.
Un’affermazione di indipendenza e libertà.
Tralasciando questo breve excursus, la particolarità della norma sta nel fatto che non è il concetto di privacy quello maggiormente demarcato, quanto “il diritto dei cittadini di godere della sicurezza personale”. Un principio che all’interno del processo “Silk Road” sul deep web ha favorito nei termini di sicurezza la vittoria dell’accusa.
È questa una nota importante ai fini della comprensione degli obiettivi del programma di sorveglianza di massa. Le attività del reperto CCI della CIA rivelate da Wikileaks sembrano infatti essere indirizzate a soggetti che potrebbero minare alla sicurezza comune.
Un dettaglio rilevante in quanto per questo tipo di attività, la CIA non deve chiedere particolari autorizzazioni alla magistratura, nella magna considerazione per cui tra l’agenzia svolge le sue attività, diversamente da FBI e NSA, all’estero.
Con l’emergere dei fenomeni legati alla criminalità organizzata e al terrorismo di vario tipo, in maniera particolare dopo il metodo di reclutamento di foreign fighters da parte dell’ISIS attraverso l’utilizzo del web, dei social network, e della comunicazione attraverso community, xbox o playstation, il problema della sicurezza comune è tornato attuale, specie laddove si è arrivati a uno sviluppo tecnologico tale da creare vuoti normativi preoccupanti.
Sono varie a tal proposito le organizzazioni che hanno avuto modo di rivedere la normativa sulla privacy, un elemento che i controversi metodi di Wikileaks non hanno voluto tuttavia spiegare, nella ricerca di una trasparenza che talvolta assume dei caratteri pseudo patologici.
Un esempio è dato dall’Unione Europea, che nell’ambito della lotta al terrorismo, ha deciso di trovare un nuovo equilibrio tra la garanzia della sicurezza e la protezione dei dati personali. Direttiva adattata all’interno della normativa italiana nell’ultimo anno all’interno del cosiddetto decreto antiterrorismo, che prevede dall’ “associazioni di un volto” ai log di accesso al monitoraggio delle attività in rete.
Una violazione della privacy?
Tutte le modifiche apportate insieme all’ampliamento dei sistemi di controllo non sono ovviamente degli strumenti atti al controllo della persona fisica, piuttosto uno strumento che consenta alla polizia postale di effettuare le sue operazioni e i suoi accertamenti senza incontrare difficoltà legali.
È infatti paradossale porre l’accento, come Wikileaks ha fatto, sul controllo – e non diffusione, cosa ben diversa – di dati personali per fini di sicurezza comune.
E mentre si fa un gran parlare di questo abnorme e abominevole caso politico, passa in sordina il fatto che tuttavia una grave violazione della privacy è stata realizzata dal sito dello stesso Assange: Vault 7 rivelerebbe nomi in codice di programmi, nonché indizi su età e inclinazioni degli agenti al lavoro presso il CCI della CIA.
Un sistema di controllo che pare assumere la forma di un grande fratello, nell’oscura visione di un’immane complotto che grava sull’umanità intera, non è sempre la soluzione più ovvia a una questione. Wikileaks, nella sua lotta alla trasparenza, dovrebbe considerarlo.
Ilaria Piromalli
Fonte immagine: blog.ilgiornale.it