Il voyeurismo è l’arte di non saper guardare, o di guardare male.
C’è chi pensa al voyeur come al guardone di turno, un po’ perverso, che trae piacere nel vedere atti espliciti violenti e che, se pescato in flagrante, diventa una questione etica emarginarlo.
E se invece l’essere voyeur fosse una pratica molto più intrinseca e perforante nella vita di tutti noi?
Viviamo in una società malata e affaticata dove l’oggettivazione del corpo femminile risulta essere il reale continuum del patriarcato.
Il voyeur negli anni della Restaurazione inglese, il ritorno di Carlo II.
Nel 1660, quando fu restaurata la monarchia in Inghilterra, e Carlo II riaprì i teatri che erano rimasti chiusi per quasi vent’anni, i capocomici erano ben consapevoli dei cambiamenti avvenuti anzitutto nella platea.
Ai tempi di Shakespeare, qualche decennio addietro, le scene di stupro erano incanalate da forze maligne all’interno della tragedia di modo che i personaggi si muovessero sul palco con fare vendicativo e la violenza restasse nell’immaginario dello spettatore.
C’è da dire però, che nelle compagnie non vi erano attrici e che i ruoli femminili erano interpretati solo da uomini in pubertà.
Durante le guerre civili, in esilio Carlo II aveva frequentato i teatri più illustri di Francia, Olanda e Italia, in cui le donne apparivano sui palchi pubblici da molto tempo.
Così, la Restaurazione della monarchia comportò l’accesso alle donne nel mondo del teatro.
Le donne davanti ad una platea di voyeur.
Con l’avvento delle attrici, il corpo femminile attrasse gli sguardi del pubblico con una facilità disarmante e gli imprenditori teatrali compresero di dover riportare le scene di violenza sessuale non più off stage ma on stage, sul palcoscenico.
Lo spettatore, pressoché di natura maschile, diventava consapevolmente o meno, un voyeur: colui che guarda. Tra i particolari dell’opera, era importante che vi fossero significanti dello stupro: spalle scoperte, seni esposti, vestiti stracciati.
La sessualizzazione del corpo femminile, e la conseguente oggettivazione erotica, si concretizza negli occhi di chi guarda ed è un pilastro portante di un patriarcato fraterno, compatto che, nel guardare, trae desiderio.
Interessante per lo spettatore è la forte presenza di pathos in queste scene, dove il mix di sessualità e sofferenza, incrementa la dicotomia tra maschilità attiva e femminilità passiva.
Anche la spettatrice era un voyeur?
Non ci sono dubbi che vi fossero donne nel pubblico, ma non ci è dato sapere, data la scarsità di testimonianze, in che modo vivessero queste esperienze dal forte impatto visivo. Vi era empatia con il personaggio femminile? Questa empatia cosa scaturiva nella realtà e tra le mura domestiche delle famiglie inglesi?
Sono domande complesse, a cui in parte potremmo rispondere attraverso alcuni dettagli ritrovati nelle opere di una delle autrici più famose di quel periodo: Aphra Behn.
I suoi copioni cercarono di scardinare il sistema maschilista di quegli anni. Le scene di violenza da lei descritte sono spoglie di ogni essenza erotica; si preoccupò invece di come avvenisse la trasfigurazione in oggetto nelle mani di un uomo e di come ciò non fosse affatto un atto nobile.
La sua fu una critica velata ma persistente.
Il volto del voyeur nel Novecento surreale ed il mondo di oggi pieno di sguardi indecifrati.
Ad oggi, sembra quasi impossibile pensare di non essere stati almeno una volta assoggettati da tendenze voyeuristiche.
Il nostro sguardo, ogni giorno, resta impigliato in una rete di artifici che ci esplodono nel cervello.
Una valanga di immagini colorate, artisticamente belle, dove lo sguardo dei follower sessualizza il corpo dell’altro fino ad estremizzarlo.
Voyeur è un concetto che acquisisce forza sui social che frequentiamo.
René Magritte, non a caso, nel 1934, avvicinatosi da poco alla corrente artistica del Surrealismo, riuscì a riassumere e a decifrare la percezione di uno sguardo e la perversione celata nell’inconscio in un suo quadro dal titolo “Lo stupro”.
È questo che il voyeur scorge in un viso?
Così Magritte ce lo descrive in La linea della vita:
“In questo quadro, il volto di una donna è stato dipinto negli elementi essenziali del suo corpo. Gli occhi sono diventati i seni, il naso è rappresentato dall’ombelico e i genitali sostituiscono la bocca.”
Il quadro è stato indicato come volto del Novecento, e forse è un sottotitolo che si estende ai giorni nostri. I social, in fondo, ci propongono una passerella contaminata dove ognuno diventa spettatore dell’altro tra il guardare e l’essere guardato.
La fluidità dello sguardo sul display è complice di una mercificazione inconsapevole e la corrosione inflitta dagli occhi è un fenomeno di longue durée.
Maria Pia Sgariglia