Voucher o non voucher, questo è il problema sul quale preferirei non soffermare.
Lavoro nero, sommerso, improprio utilizzo ed abuso sono i termini che in meno di una settimana hanno invaso giornali e canali mediatici fomentando una divisione netta fra fedayndei buoni lavoro e i loro acerrimi nemici, grigi nostalgici del posto fisso.
La paura del referendum ha permesso alla Cgil di vincere una partita a tavolino contro un Partito Democratico che, sorprendentemente, è riuscito a sua volta trasformare la sconfitta in un successo. Con un singolo provvedimento e senza tanti spargimenti di sangue il governo Gentiloni ha infatti eliminato tout court i voucher aggirando – abbastanza goffamente, va sottolineato – un’ulteriore e bruciante sconfitta all’ipotetico referendum del 28 maggio che avrebbe rappresentato un colpo di grazia dopo quello del 4 dicembre.
Sui voucher pensatela come vi pare. Se posso dire la mia trovo che ridursi a discutere di lavoro, precarietà e giovani esclusivamente in funzione di meri calcoli elettorali o di consenso sia piuttosto aberrante. Trovo che si sia persa l’abitudine della mediazione, che alla banalità del compromesso sia stata sostituita la logica del risultato senza se e senza ma.
Là fuori c’è una generazione senza prospettive, per anni ridotta a ritirare il frutto del proprio lavoro nelle tabaccherie, alla spicciolata. Una generazione di trentenni esiliati nel nido di casa, una generazione di ventenni insicuri e lontani dallo studio e dal mondo del lavoro. Questa è la generazione che non ha mai riempito le piazze di indignazione ma che ha urlato il proprio disagio nel silenzio di una totale mancanza di fiducia nello status quo, nella disaffezione verso le istituzioni e nell’affidamento ad un vuoto ma rumoroso voto di protesta.
Di voucher non saremmo morti ma sui voucher, a quelle condizioni, non avremmo potuto edificare proprio nulla.
Ogniqualvolta è sorto il sole si è persa una preziosa occasione: l’occasione di parlare di giovani co i giovani, di discutere di precarietà e mondo del lavoro in modo serio, attuale. L’abbiamo persa affidando il futuro ad un duello tra interessi lontani dalle reali esigenze degli interessati con la naturale conseguenza che quest’ultimi, sfiduciati, perdessero anche il sacrosanto interesse di interessarsi.
Senza una sconfitta, diceva qualcuno, non c’è una vittoria.
Va da sé che quando vincono tutti a ben vedere non vince nessuno
Fonte Immaine: huffingtonpost.it
Alessandro Sahebi