È quasi certo che Ortega verrò riconfermato Presidente del Nicaragua dopo che questa domenica si è votato in tutto il paese. Meno certa è la reazione degli altri stati dell’America Latina e della Comunità Internazionale. Dopo la crisi in Venezuela tutti sembrano votati alla cautela
Domenica 7 novembre si sono svolte in Nicaragua le elezioni per eleggere il Presidente della Repubblica, l’Assemblea Nazionale e i membri del Parlamento centro-americano (l’organizzazione internazionale dedita all’integrazione dei paesi del Centro America). Nel sistema elettorale nicaraguense il presidente è eletto secondo un sistema uninominale secco: vince chi ottiene la maggioranza relativa dei voti, senza che vi sia alcuna soglia minima di voti richiesti. Di conseguenza, non è previsto alcun ballottaggio e i risultati definitivi arriveranno a partire dal 15 novembre.
Il candidato favorito è il presidente uscente Daniel Ortega, del partito Fronte sandinista di liberazione nazionale, o FSLN, che ha scelto come vice la moglie Rosario Murillo. Se dovesse vincere le elezioni Ortega otterrebbe il suo quinto mandato da presidente, di cui gli ultimi quattro consecutivi.
La vittoria di Ortega è data per certa dalla maggior parte degli osservatori e analisti. Nel periodo precedente l’apertura dei seggi la Polizia nazionale del Nicaragua ha arrestato 37 oppositori, fra cui sette candidati alla presidenza.
Anche se le elezioni di domenica si fossero svolte senza trucchi ne magheggi da parte della leadership, la parte più significativa dell’opposizione ad Ortega era ormai da tempo fuorigioco. Sul campo erano rimasti solamente altri cinque candidati, ritenuti però di poco rilievo e quindi con nessuna reale possibilità di minacciare la vittoria del presidente uscente.
Daniel Ortega ricopre la carica di presidente in modo continuativo dal 2007, dopo essere già stato a capo della Repubblica del Nicaragua dal gennaio 1985 all’aprile 1990, durante gli anni della rivoluzione sandinista. La presidenza Ortega, almeno fino al 2018, è stata caratterizzata da una stabile crescita economica e da un clima interno piuttosto disteso, soprattutto se confrontato a quello dei vicini El Salvador e Honduras.
In realtà, sia la crescita del PIL sia la contrazione del tasso di povertà si spiegano a partire da fattori che vanno ben oltre il controllo di Ortega. Fra questi le riforme strutturali introdotte nei primi anni Novanta dall’amministrazione Chamorro (liberal-conservatrice), la riduzione del debito accordata da parte dei creditori internazionali a metà degli anni Duemila e la crescita della forza lavoro. In ogni caso, la congiuntura economica positiva ha fatto sì che Ortega vincesse le elezioni presidenziali del 2016 con largo seguito. Il 72% degli aventi diritto all’epoca votò a favore del presidente in carica, anche se l’astensionismo fu notevole e in molti denunciarono scorrettezze elettorali.
Le cose sono cambiare nel 2018, quando il governo Ortega ha annunciato una serie di riforme che, fra le altre cose, hanno comportato un aumento delle tasse e un peggioramento del sistema previdenziale. Le modifiche furono in parte approvate su raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale al fine di assicurare la solvibilità del paese. In tutta risposta, nell’aprile 2018 sono scoppiate in Nicaragua una serie di rivolte che, procedendo a intermittenza, vanno avanti tutt’oggi. Le proteste sono alimentate non solo dalla rabbia della popolazione per le riforme, ma anche dai metodi autoritari sempre più evidenti nella leadership di Ortega.
Lo scoppio della pandemia da Coronavirus non ha fatto che inasprire le tensioni politiche. Invece che ascoltare gli appelli della Comunità Internazionale al rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, Ortega ha stretto ancora di più la morsa della repressione, approvando una serie di leggi che di fatto criminalizzano ogni forma di opposizione politica. È anche in forza di queste leggi che il presidente ha arrestato o costretto all’esilio – sia direttamente sia indirettamente – ogni potenziale candidato d’opposizione. Ortega si dimostra determinato a non lasciare nulla al caso quando la posta in gioco è il suo quinto mandato da presidente.
In attesa della pubblicazione dei risultati ufficiali, la vera domanda non è chi vincerà, ma come gli altri stati americani reagiranno una volta che Ortega dichiarerà la vittoria. In primo luogo, sarà interessante vedere se – e in che modo – gli altri leader regionali commenteranno il ribaltamento dei principi democratici sancito con il voto di domenica.
Inoltre, non è ancora chiaro come intendono agire nemmeno i numerosi organismi multilaterali costruiti nel corso degli anni proprio al fine di proteggere la democrazia in America Latina. Fra questi la Commissione Interamericana sui Diritti Umani (IACHR) e l’Organizzazione degli Stati Americani, ma anche gruppi minori come l’Alleanza del Pacifico e la Comunità Andina. Nei prossimi giorni sarà interessante vedere in che modo questi organismi faranno i conti con il fallimento del proprio mandato, centrato sulla tutela della democrazia e dei diritti umani in Centro e Sud America.
Molti stati hanno condannato gli arresti sommari degli oppositori al governo di Managua, forti del sostegno di Unione Europea e Stati Uniti – entrambi hanno imposto sanzioni a persone ed entità ree di aver avvallato gli abusi e le politiche repressive di Ortega. Tuttavia, questi stessi stati potrebbero essere riluttanti a spingersi oltre e invece optare per un atteggiamento più cauto. Complice anche il fallimento della strategia che nel 2019 vide la maggior parte degli stati sudamericani schierarsi apertamente contro il riconoscimento di Nicolas Maduro come legittimo leader del Venezuela. Due anni dopo è chiaro che ad aver vinto il braccio di ferro per il potere in Venezuela è Maduro. Juan Guaidò e coloro che gli avevano accordato il sostegno hanno perso.
Sebbene l’America Latina e l’Occidente siano compatti nel definire le elezioni in Nicaragua una farsa, non è ancora chiaro quale strategia intendano seguire nel concreto. Alla fine, i paesi della regione e l’intera Comunità Internazionale potrebbero semplicemente decidere di chiudere un occhio e riconoscere la vittoria, di nuovo, di Ortega.
Benedetta Oberti