“Al Comitato Scientifico dell’Istituto dell’ Enciclopedia Italiana e al Comitato Scientifico dell’Accademia della Crusca”, così inizia la lettera che un corposo gruppo di studiosi e studiose ha scritto ed inviato ai Comitati sopracitati per richiedere l’introduzione della parola Nonviolenza nel dizionario della Lingua Italiana.
Da tempo interessata a questo tema e alla parola in questione, non posso non sostenere moralmente la causa.
Il termine Nonviolenza ha una sua carta d’identità che merita d’essere riconosciuta: con questa parola, non ci si limita ad indicare o a suggerire l’assenza di guerre, di conflitti, di abusi e di ogni tipo di oppressione di cui l’uomo e la donna sono stati e sono capaci, ma procede più a fondo, o più in alto, per giungere a definire una reale, concreta cura del male attraverso la persistente e determinata applicazione del potere pacifico contro le offese, le ingiustizie, la violenza fisica, psichica, economica, sociale e politica subite da persone o da intere comunità.
Il sentimento d’odio che da sempre avvelena il mondo e causa cecità e sordità e aridità di mente e di cuore, è forse la patologia più difficile da curare: la nonviolenza risulta la cura più efficace proprio perché questa agisce sulla persona coinvolgendola nella sua totalità, in ogni suo ambito, lungo un processo esistenziale ed esperienziale che dura tutta la vita.
La Nonviolenza richiede consapevolezza, spirito di cambiamento, responsabilità e attivismo: il suo significato, la sua essenza è la scelta della Giustizia, praticata come un vero e proprio stile di vita. Il legame tra Nonviolenza e Giustizia è intimo ed imprescindibile: entrambe sono le strade che portano alla Pace e la minaccia e l’offesa a carico di una delle due, fa vacillare anche l’altra, così come la promozione di una, favorisce il progresso dell’altra. La Nonviolenza, quindi, esige coraggio, tenacia, volontà di miglioramento, apertura e capacità di accoglienza dell’altro, dell’altra e della sua idea. E penso a Gandhi, a Giorgio La Pira, ad Aldo Capitini, a Martin Luther King, a Tiziano Terzani e ai tanti altri Nomi che hanno scritto la parola Nonviolenza nel libro della Storia e che ne hanno delineato il profilo, rendendola come gli studiosi e le studiose l’hanno richiesta nei dizionari della Lingua Italiana: unita, senza pause e senza spazi che distanziano la violenza dalla sua stessa negazione. E in modo particolare, penso a don Tonino Bello il quale definì la Pace come più di una parola: “un vocabolario”. Come può mancare la parola Nonviolenza in questo vocabolario così ricco e così dinamico e così aperto ai cambiamenti e alle novità? Non deve mancare.
Per questo sosteniamo il pensiero e la richiesta che ne difendono il posto tra le tante parole che riempiono ed arricchiscono i nostri dizionari e le nostre enciclopedie. Perché la parola è efficacia, è presenza, è sostanza; perché la parola produce, cambia, accende; perché la parola dice, chiarisce, racconta. E la parola Nonviolenza è tutto questo. E molto di più: perché custodisce la storia e il coraggio di Coloro che l’hanno celebrata. E li custodisce con così tanta cura che non lascia spazio, tra una lettera e l’altra, per permettere a corpi estranei di alterarne l’integrità.
Nonviolenza, tutto unito. Nonviolenza perché tutto sia unito, perché tutto sia Unità. Le utopie restano tali fin quando non si sa come realizzarle e per realizzarle bisogna saperle identificare. Da ricordare bene, quindi: Nonviolenza si scrive così!
Deborah Biasco