Il Kosovo ha una nuova Presidente. Il parlamento ha eletto Vjosa Osmani, avvocata di 38 anni e leader di uno dei partiti che formavano la coalizione vincitrice alle ultime elezioni.
Osmani è stata eletta dal parlamento alla terza votazione con una maggioranza semplice di 71 voti su 120 votanti. Le prime due sessioni di voto richiedevano una maggioranza di due terzi del parlamento e si erano concluse senza un vincitore.
Nonostante la giovane età Vjosa Osmani ha una lunga carriera politica alle spalle iniziata durante gli anni universitari.
Ha una formazione in ambito giuridico: ha iniziato i suoi studi all’Università di Pristina, la capitale del Kosovo, per poi proseguire con un dottorato conseguito all’Università di Pittsburgh negli Stati Uniti.
Nel suo ruolo di docente universitaria si è occupata principalmente di diritto internazionale. Alle elezioni del 2019 si era presentata come esponente della Lega democratica del Kosovo dalla quale è stata successivamente espulsa per divergenze. Alle elezioni di Febbraio si è presentata con una lista “Guxò” alleata al movimento “Autodeterminazione” di Albin Kurti.
La giovane politica è molto popolare in Kosovo, così come il collega di coalizione che ricopre attualmente il ruolo di Presidente del consiglio.
Entrambi fanno parte di nuova classe politica composta da giovani intenzionati a prendere le distanze dal vecchio apparato dirigenziale fortemente compromesso dai ruoli che i suoi rappresentanti avevano ricoperto durante la guerra. Basti pensare che nel 2018, a dieci anni dalla sua fondazione come Stato autonomo, il Kosovo risultava al 95esimo posto per corruzione percepita nella classifica stilata dall’ONG internazionale “Transparency International”.
Un membro della classe dirigente da cui Kurti e Osmani vogliono differenziarsi è sicuramente il predecessore di quest’ultima alla Presidenza del Kosovo, Hashim Thaçi.
Questi si era dimesso il 5 Novembre 2020 dopo essere stato incriminato per i reati di Crimini di guerra e Crimini contro l’umanità da un organo giudiziario internazionale con sede all’Aja.
L’organo in questione, il Kosovo Specialist Chamber, era stato creato nel 2017 al fine di indagare i crimini commessi dall’esercito di liberazione del Kosovo durante la guerra di indipendenza contro la Serbia nel periodo tra il 1998 e il 1999. Thaçi era diventato membro dell’esercito di liberazione del Kosovo nel 1993 e nel biennio conclusivo del 1900 era stato uno dei comandanti più importanti della milizia albanese.
Secondo il tribunale internazionale, proprio nel periodo precedente all’intervento della NATO contro la Serbia, Hashim Thaçi si sarebbe reso responsabile di uccisioni e sparizioni forzate e sarebbe stato autore di azioni di tortura.
La contemporaneità del Kosovo è ancora profondamente segnata dagli eventi di quel periodo.
Il Paese ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza nel 2008, dopo essere stato amministrato per quasi un decennio da un protettorato internazionale delle Nazioni Unite.
La Corte internazionale di Giustizia, organo giudiziario dell’ONU, ha dichiarato la legittimità dello Stato del Kosovo solo nel 2010. Il paese rimane però escluso dalla partecipazione all’Organizzazione delle Nazioni Unite a causa del fatto che due membri del Consiglio di Sicurezza, Russia e Cina, in qualità di alleate della Serbia non riconoscono la legittimità politica del paese situato nella penisola balcanica.
Per un simile motivo lo Stato guidato da Osmani non può entrare a far parte dell’Unione Europea, perché Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro non considerano legittima la sua esistenza come nazione indipendente.
A queste difficoltà “esterne” se ne aggiungono altre relative alla politica interna.
Il Kosovo è uno Stato di dimensioni ridotte, ma nei suoi territori vivono cittadini che si identificano in sei diversi gruppi etnici: albanesi, serbi, turchi, gorani, rom e bosniaci musulmani.
L’integrazione tra cittadini di diverse etnie è molto lontana dall’essere una realtà: persino a livello scolastico si tende a ricercare un’omogeneità nella composizione delle classi.
Il processo finalizzato a favorire la vita comune è rallentato anche dal fatto che molti kosovari serbi ritengono che i crimini perpetrati a loro danno durante la guerra del 1999, compreso quello di pulizia etnica, non siano stati adeguatamente riconosciuti e puniti a livello internazionale.
Il Kosovo, inoltre, è il paese più giovane del continente europeo: l’età media è di 25 anni. Nonostante questo la situazione economica è disastrosa, la crescita insufficiente. Molti cittadini migrano nei paesi europei in cerca di lavoro ed opportunità.
Di tutti questi aspetti ha parlato la neo presidente nel suo discorso inaugurale.
Il punto su cui si è concentrata maggiormente riguarda, però, il tema cruciale della politica estera kosovara. Osmani, infatti, ha indicato come una sua priorità la ripresa del dialogo di pace con la Serbia che ancora non accenna a voler riconoscere la legittimità del paese che lei guida. La presidente del Kosovo, però, ha anche fissato le premesse irrinunciabili di tale dialogo con queste parole:
La pace può essere raggiunta solo quando vedremo rimorso e riceveremo le scuse da parte della Serbia e quando sarà fatta giustizia per coloro che hanno sofferto per i suoi crimini.
L’elezione di Vjosa Osmani, è opinione condivisa a livello internazionale, può rappresentare l’inizio di una nuova fase per il Kosovo e non solo. Una giovane donna a rappresentanza di un paese con un’età media molto bassa è un simbolo importante non solo nell’ambito di un contesto maschilista come quello della penisola balcanica. La sua formazione e la sua sensibilità alimentano, poi, la speranza di una vera svolta nei tentativi di dialogo con Belgrado.
La traccia di questo auspicio, non a caso, si trova anche nelle parole con cui l’Alto rappresentante UE Josep Borrell ha salutato l’elezione di Osmani:
Congratulazioni a Vjosa Osmani per la sua elezione a presidente del Kosovo. L’Ue continua a supportare il Kosovo nel suo percorso di integrazione nell’Unione europea. Con le nuove istituzioni in atto, il Kosovo può ora concentrarsi fermamente sulle riforme necessarie e sul dialogo agevolato dall’Ue.
Silvia Andreozzi