Di Barbara Benedettelli
“La nostra vita qui e ora è una condicio sine qua non, una condizione senza la quale non c’è null’altro. Possiamo permetterci di svalutarla? Possiamo permetterci di trattarla come carta straccia, come oggetto del desiderio, come mera illusione? Possiamo disprezzarla al punto da perdonare con facilità chi la frantuma? Davvero la libertà pesa più della vita? Un giovane Vittorio Foa, dal carcere in cui si trovava a causa delle sue idee politiche, scriveva che «Ogni vera libertà non può esprimersi altrimenti che nel poter scegliere come rinunciarvi». Ebbene, chi fa del male agli altri sceglie, liberamente, di rinunciare alla propria libertà.
Un giorno la mamma di una ragazza di diciannove anni, uccisa con un colpo alla testa sparatole alle spalle dall’ex fidanzato, mi ha scritto: «Barbara, ti abbraccio con profonda speranza». Nonostante tutto, nonostante la perdita di ciò che per una madre è cuore, carne, sangue, anima, questa donna dagli occhi azzurri come il cielo e dal nome gioioso, Clementina, ha saputo parlare di speranza. La speranza che questa giustizia, umana e democratica, possa essere più forte, più attenta, più consapevole del valore vita di quanto non lo sia l’altra “giustizia”: quella individuale, illegale e autoritaria, convinta di avere ragione anche quando uccide e così astuta da usare a proprio vantaggio i cavilli, le imperfezioni della prima e la superficialità di troppi uomini. La supremazia dell’una sull’altra dipende dal soggetto che viene messo al centro e che è portatore di valori capaci di diffondersi. Quali valori si diffondono se al centro vengono messi l’assassino e la sua difesa nonostante la verità dei fatti, la loro gravità?
È facile sentir dire da un omicida che giustifica la sua libertà prematura: «Merito una seconda possibilità!» È raro sentir pronunciare: «Merito ogni giorno, ogni ora, ogni minuto di questa condanna. La merito e la sconterò per intero, perché la pena che mi procura è sempre notevolmente inferiore rispetto a quella tremenda che ho inflitto agli altri». Eppure dovrebbe essere proprio questo lo scopo del fine educativo della pena: far capire che ci sono leggi, norme, principi e diritti che hanno un valore super partes perché tutelano beni sine qua non, e tra questi c’è anche la libertà. Ma non la libertà di uccidere. Né di ferire.
La civilizzazione ha fatto il suo corso. Siamo davvero lontani dalle “mille morti”5 inflitte in passato dal sovrano ai criminali. Adesso c’è bisogno di recuperare l’innocenza della Vittima a scapito della malvagità di cui l’uomo è capace; per riportare giustizia dove non c’è e rafforzare un tabù che non è mai stato decisivo: “Non si può uccidere!”.
Punti fermi e indiscutibili sono i principi di civiltà raggiunti nell’ambito giudiziario e penale. L’attuale governo ha dichiarato lo stato di emergenza per tutto il 2010 per quanto riguarda il problema del sovraffollamento delle carceri e lavora insieme a coloro che, quotidianamente, si preoccupano di far rispettare i diritti dei detenuti. Adesso dobbiamo fare un passo “oltre”.
Una Costituzione garantista può menzionare tra le sue pagine solo i diritti degli imputati? Le Vittime hanno il diritto di entrare a pieno titolo in una Carta che viene ritenuta tra le più belle del mondo? Hanno il diritto di avere garanzie di protezione, di solidarietà economica e sociale, di restituzione, in qualche forma condivisa, del gravissimo torto subito?
La giustizia capace di abbracciare la complessità del mondo è quella che afferma un concetto semplice: lo Stato e i singoli cittadini hanno il diritto-dovere di tenere alto il valore della vita umana. Sempre. Anche quando è stata soppressa. La Vittima prima di essere un cadavere era una persona, merita rispetto anche nella morte, e in quell’aula di tribunale in cui, oggi, non è che sfondo. Così come i cari di chi non c’è più devono ricevere tutela, la stessa che è riservata a chi si trova a essere accusato di un delitto. La speranza dei congiunti di chi è stato ucciso di poter seppellire i propri morti con dignità,
nel rispetto di ciò che essi sono stati per loro e per la Storia comune, sta tutta qui.”
Tratto da “Vittime per sempre” di Barbara Benedettelli.