La vita da rider si vede ma non si conosce. Una figura professionale priva dei più basilari diritti del lavoro e sottoposta esclusivamente ad un algoritmo. Anche se nel corso del tempo ci sono stati miglioramenti, questi lavoratori della “gig economy” continuano ad essere isolati l’uno dall’altro, malamente retribuiti e facilmente licenziabili.
Si parla molto di questa figura professionale, ma si sa poco sulla vita da rider. Diamo una definizione preliminare, aiutandoci con il vocabolario Treccani: il rider è un “fattorino che si sposta a bordo di una bicicletta (o motorino) equipaggiata per la consegna a domicilio degli articoli acquistati dai clienti”.
Secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti alle principali società di food delivery (rappresentate in Assodelivery, di cui fanno parte per esempio Deliveroo e Uber Eats), alla fine del 2021 si contavano 62.938 rider in tutta Italia, un incremento superiore del 100% rispetto al periodo pre-pandemia. Qui occorre fare una precisazione: solo circa la metà di questi sono attivi, ossia che hanno svolto prestazioni lavorative nell’arco delle precedenti 3 o 4 settimane. Essi, infatti, sono considerati lavoratori autonomi e di conseguenza hanno la possibilità di scegliere quando e per quanto tempo lavorare, talvolta anche contemporaneamente su più piattaforme. Altri numeri:
- L’età media è 30 anni;
- 8 su 10 sono uomini;
- Per 3 rider su 4 la collaborazione è integrativa rispetto ad un’attività principale;
- la maggior parte collabora per meno di 6 mesi.
Reclutamento
Tutto viene gestito online, da quanto ci si candida fino all’effettuazione della prestazione lavorativa. Il reclutamento avviene, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, virtualmente. Una volta presentata domanda, si ottiene risposta mediamente in un paio di mesi. Non servono particolari requisiti, di regola basta:
- Essere maggiorenni;
- Possedere un veicolo con il quale si andrà a svolgere l’attività lavorativa (bicicletta o motorino);
- Uno smartphone;
- Un documento di identità (e il permesso di soggiorno in caso non si è cittadini UE);
- Una patente di guida se si intende lavorare con un motorino.
Se si viene selezionati la società invia il materiale (cassone termico e pettorina ad alta visibilità) e una volta apposta una firma digitale al contratto e si è subito pronti per iniziare.
Contratto
Nel corso degli anni si sono fatti passi avanti, ma ancora no abbastanza. Il contratto collettivo nazionale che regola il lavoro dei rider, stipulato da Assodelivery con il sindacato UGL, qualifica la loro prestazione come autonoma. Nonostante ciò, a quest’ultima si estendono alcune protezioni proprie del lavoro dipendente:
- Standard retributivo minimo di 10 euro l’ora;
- Preavviso di recesso;
- Divieto di discriminazioni;
- Sicurezza del lavoro e relative dotazioni;
- Assicurazione antifortunistica;
- Diritti sindacali;
- Indennità integrative per lavoro notturno, festività e maltempo.
Considerata illegittima la prestazione classificata come autonoma, la FILCAMS, organizzazione sindacale della CGIL che svolge attività di tutela dei lavoratori, ha così esordito:
I rider sono lavoratori a tutti gli effetti, vanno considerati dipendenti delle aziende che li impiegano nelle consegne e andrebbero inquadrati con regolari contratti di lavoro, quelli sottoscritti dalle controparti sindacali più rappresentative.
Volendo utilizzare un proprio modello di organizzazione del lavoro, qualche mese dopo la stipulazione del contratto nazionale, Just Eat si è distaccata da Assodelivery. Questo modello, stipulato con CGIL, CISL e UIL, qualifica la prestazione lavorativa come subordinata. Consente, con i necessari adattamenti, l’applicazione del contratto collettivo nazionale per il settore della logistica, che prevede uno standard retributivo minimo poco sotto i 9 euro l’ora (compresi i ratei di TFR e tredicesima) più 0,25 centesimi a consegna e tutte le protezioni e i diritti sindacali propri del lavoro dipendente.
Giornata lavorativa
I turni di lavoro sono organizzati in fasce orarie e si prenotano su un’app dedicata. Ai rider viene data priorità sulla prenotazione del turno di lavoro in base a quanto lavorano. Più lavorano e sono affidabili, più hanno diritto a prenotarsi prima degli altri. Se il rider non lavora costantemente e frequentemente la posizione in classifica scende e spesso pregiudica la sua possibilità di lavorare.
Una volta prenotata una fascia oraria, il lavoro inizia quando il rider riceve un ordine di consegna attraverso una notifica sullo smartphone. Dietro a tutto ciò c’è un algoritmo, che decide a quale rider assegnare un determinato ordine. Non si sa bene su cosa si basi questo algoritmo ma le discriminanti principali sono tre:
- Vicinanza del rider al ristorante;
- Mezzo utilizzato dal rider;
- Tipologia di cibo da trasportare.
I rider vengono pagati a cottimo e più rimangono online e disponibili più aumentano le possibilità di guadagno. Questo però varia da società a società.
La pericolosità della vita da rider
I rischi specifici a cui i rider sono esposti quotidianamente sono:
- Avvenimenti traumatici sulla strada;
- Esposizione ad agenti atmosferici e radiazioni solari;
- Aggressioni;
- Postura scorretta;
- Trasporto manuale di carichi;
- Inquinamento acustico;
- Scarsa visibilità durante turni notturni;
- Condizioni manto stradale.
Tutti conosciamo, inoltre, i pericoli che si insinuano nel traffico cittadino. Nel periodo tra marzo 2018 e ottobre 2019 si sono registrati sette decessi tra i rider in Italia. Il 2020 è stato un anno senza vittime, complici forse i diversi lockdown. Nel 2021 sono i morti sono stati due mentre sono sei quelli del 2022.
Considerazioni
Si sono fatti passi avanti ma mancano ancora delle tutele fondamentali per questi lavoratori, come ferie retribuite e congedi per malattia.
Viene evidenziata in più occasioni la centralità dell’algoritmo nel coordinare e valutare la prestazione lavorativa. In alcuni casi arriva a “licenziare” un rider senza specifiche motivazioni e arbitrariamente: basta escluderlo dall’app o farlo scendere nella graduatoria di prenotazione turni.
I lavoratori della “gig economy” (in italiano, economia dei lavoretti) vivono spesso solo di questo lavoro e sono principalmente disoccupati di lungo corso o immigrati che pur di lavorare accettano compromessi. Frequentemente la vita da rider è caratterizzata anche da fenomeni di caporalato e sfruttamento lavorativo. Quello del rider è un lavoro povero e precario, ma che frutta alle società fatturati miliardari.
Alessandro Rossi