Come Virginia Woolf continua oggi, a un secolo di distanza, a leggere il mondo in cui viviamo, con tutti i suoi stravolgimenti?
Adeline Virginia Stephen nasceva il 25 gennaio 1882. Ricordata poi col nome da sposata, è per tutti Virginia Woolf.
Il romanzo della Woolf è stato definito in molti modi, ed è, senza remore, l’incarnazione del modernismo in letteratura. Una parola, quella ricercata continuamente dalla Woolf, che vuole dire non ciò che non è stato ancora detto, ma come non è stato ancora fatto. Che vuol dire modernista, e perché la sua scrittura parla del mondo di oggi, anche a più di un secolo di distanza?
Quando scriveva Virginia Woolf
Saranno forse avvenimenti straordinari a produrre scrittori straordinari? I tempi in cui ha vissuto la Woolf erano tempi di sperimentazioni, talvolta azzardate, che spingevano gli scrittori a cercare anche nella scrittura, nella parola, qualcosa che andasse oltre. Quell’oltre spesso era l’origine; comune denominatore in periodo di guerre, di bombardamenti e non solo è il ritorno all’origine, la rianalisi della propria vita, lo scavo interiore. Ciò che ne risulta può portare alla luce quei tratti comuni a tutti, che ci avvicinano un po’, anche in tempo di distanze forzate.
Oggi più che mai possiamo rintracciare in quegli avvenimenti apparentemente straordinari e fuori dal comune, segni di qualcosa che è già avvenuto in passato, con le stesse modalità che oggi a noi sembrano così straordinarie. È la letteratura che ce lo dimostra. E così, rileggendo le pagine degli scrittori considerati pilastri e fondatori di spartiacque culturali, possiamo rintracciare i segni di una storia che è già stata vissuta, e forse in qualche modo venir fuori dallo scoramento del nuovo, inspiegabile, che sembra non avere fine.
Come la Woolf ci racconta il presente
La Woolf visse sulla sua pelle le conseguenze della prima guerra mondiale; di quel periodo forse ciò che condividiamo oggi non è assolutamente il lessico, saccheggiato e malimpiegato per raccontare la pandemia, quanto piuttosto quella stessa precarietà di sopravvissuti che in qualche modo sono stati messi a contatto con la propria finitezza, come ogni qual volta abbiamo a che fare con la morte. Smettiamo per un momento di crederci invincibili e indistruttibili e prendiamo contezza della nostra fragilità.
Virginia Woolf quella sensazione la penetrava, come a volerla conoscere meglio; così spesso le protagoniste della Woolf devono fare i conti con l’essere al mondo dopo il disastro, e come la letteratura “classica” sa fare, ci permettono di riconoscerci in quegli stessi interrogativi. Scrivere è per la Woolf immersione nel proprio io, scavo dentro di sé, per poter leggere il mondo attraverso la propria frammentarietà, che nella Woolf è illuminazione di pochi attimi, e così quello stesso mondo appare frammentato, privo ormai di un centro, e il cui centro non può più essere nemmeno l’uomo. Un’assenza, una privazione, una mancanza.
Il viaggio al faro si compie solo in assenza, quando la mancanza si compie. Prima non è possibile raggiungere la destinazione. Nei romanzi della Woolf l’umano scompare dietro le sue elucubrazioni, dietro il suo pensiero quotidiano, e quel silenzio tanto agognato dalla scrittrice risulta in realtà pieno di rumore. Ecco l’invisibile che si fa presenza, fluida, che tende ad occupare tutto lo spazio a sua disposizione.
È ancora possibile oggi, ritrovarsi nel mondo partendo da sé? In un momento storico che ci costringe alla solitudine, quella normalmente fuggita a tutti i costi, nonostante gli schermi di cui disponiamo ci hanno permesso un contatto, precario e comunque impalpabile, col mondo fuori. Gli schermi sembrano spegnerci, piuttosto. Ecco perché rileggere gli scrittori come Virginia Woolf, per riprenderlo in mano lo scalpello, e scavare, dando alle parole una via d’accesso.
Carmen Alfano