“Violette di Marzo” , romanzo giallo di Philip Kerr del 1989 riproposto da Fazi Editore, è l’inizio della triologia che racconta le gesta berlinesi dell’investigatore privato Bernie Gunther. Se pensate che il meglio sia solo alla fine della saga potreste restare colpiti…investigazioni, riflessioni, colpi di scena, un finale da vero giallo e un viaggio nella storia sono la ricetta vincente sin da questo primo capitolo.
La trama
La storia è ambientata nella Germania degli anni trenta, poco prima delle Olimpiadi di Berlino del ’36, in pieno dominio nazista. Gunther, ex poliziotto messosi in proprio, segretamente anti nazionalsocialista, viene incaricato da un noto industriale tedesco, Herman Sixx, di indagare sull’omicidio della figlia Grete e del suo misterioso genero Paul, trovati morti a letto nella loro casa distrutta dalle fiamme, e sulla scomparsa di una preziosa collana di famiglia.
Al seguito di Gunther, iniziamo un percorso fatto di corruzione, bugie, intrighi e ostacoli: su tutti la Gestapo, polizia segreta del regime, sulle tracce di Gunther e delle sue indagini – che lo porteranno ai piani alti del partito nazionalsocialista – per salvare ordine, dinamiche e reputazione del Terzo Reich.
L’autore
Philip Kerr nasce ad Edimburgo nel 1956. Laureato in legge all’università di Birmingham, scrive più di 30 libri. Raggiunge la sua fama come scrittore di thriller storici grazie alla triologia berlinese sulle gesta di Bernie Gunther. E’ venuto a mancare il 23 Marzo del 2018.
Perchè leggerlo…
Sembra banale, ma le parola chiave di questo romanzo sono semplicità ed efficacia, nel senso migliore del termine. Kerr va a scuola dai grandi del giallo, da Conan Doyle ad Agatha Christie, e ripropone in chiave propria tutti gli ingredienti del perfetto thriller. Senza voler strafare, senza soluzioni improbabili.
L’autore si affida a Gunther, perfetto Sherlock Holmes, tormentato, vizioso, brillante e ad una trama logica, studiata, accattivante, scandita dai giusti tempi di suspense indispensabili per un buon giallo. L’importante non è il cosa, ma il come e il quando.
L’ambizioso progetto di raccontare la vita di un detective nella Germania Nazista fa il resto. Un periodo storico spesso riassunto con immagini di guerra, che nelle “Violette di Marzo” rimangono invece sospese come una spada di Damocle sulla testa. Si percepisce la loro incombenza, ci accompagnano durante tutto il viaggio, ma non si toccano mai veramente con mano, come un fantasma con cui fare continuamente i conti.
Il palcoscenico è tutto del retroscena: della quotidianità, di repressione e limitazioni, di abusi, torture e soprusi, di una paura più subdola ma non per questo meno tragica, di rassegnazione e indifferenza, di follia diventata triste consuetudine, di libertà mancate. Di regime.
“Ma niente mi sorprende più, adesso. Mi sono abituato a vivere in un mondo che è uscito dai cardini, come se fosse stato colpito da un tremendo terremoto, per cui le strade non sono più lisce e le case non sono più dritte.”
Così riflette Gunther. Semplice ed efficace, appunto, anche nella tragedia.
Beatrice Canzedda