Chi commette violenza sugli animali ha una più alta probabilità di ripetere le stesse azioni nei confronti di donne e minori.
Le mura domestiche sono un terreno fertile per la violenza, dove persone apparentemente normali si trasformano in orchi, non solo confronti di minori e donne, ma anche animali.
Una persona che tortura o uccide un animale è spesso violenta anche nei confronti delle persone. Ne consegue che le condanne per maltrattamenti agli animali permettono di mettere i soggetti che compiono abusi sulle persone in prigione o in terapia
Sono le parole di Carol Moral, Vice Procuratore Distrettuale di New York nei primi anni duemila. In quegli anni, in collaborazione con la American Society for the Prevention of Cruelty to Animal (ASPCA), ha messo in luce come la violenza sugli animali sia spesso correlata a quella domestica. Nel 2000, il New York Daily News pubblicò un articolo in cui emergeva che 35 newyorkesi, in prigione o in cura per reati contro i propri animali domestici, avevano un dato in comune: erano tutti colpevoli di aver picchiato le proprie compagne, anche se mai denunciati. Risultato frutto del lavoro in sinergia tra la forza di polizia e la ASPCA, avente anche l’obiettivo di informare i cittadini dell’esistenza della correlazione tra violenza sugli animali e violenza domestica.
Animali vittime e strumenti di violenza
E’ a partire dagli anni ’60 che negli Usa sono stati condotti studi sul legame tra violenza sugli animali e quella su donne e minori. Evidenze emerse chiaramente nel corso dei decenni successivi. L’animale è al tempo stesso soggetto di tortura e mezzo di inflizione di paure e sofferenze; usato come strumento su cui sfogare le proprie frustrazioni ma anche per instaurare un vero e proprio clima di terrore tra i membri della famiglia, che assistono inermi e spaventati alle sevizie sull’animale. Spesso la violenza sull’animale viene usata come ricatto nei confronti della donna che voglia abbandonare il compagno carnefice, costringendola a restare. A volte invece, l’uccisione o la tortura dell’animale è una punizione da infliggerle se ha avuto il coraggio di andare via.
Un dato allarmante
La violenza sugli animali è quasi sempre il preludio ad una escalation di violenza, e nella maggior parte dei casi si manifesta in giovanissima età. Secondo i dati di uno studio condotto dal CNR, nel nostro paese il 16,7% dei ragazzi di età compresa tra i 9 e 18 anni ha ammesso di aver usato, almeno una volta nella vita, violenza nei confronti degli animali ; uno su 5 lo ha fatto per divertimento. Di questi ragazzi, un terzo ha maggiori probabilità di sviluppare comportamenti violenti nei confronti delle persone.
Cosa rischia chi commette un reato contro gli animali
Nel nostro ordinamento nei confronti della persona socialmente pericolosa che abbia commesso un reato è prevista l’applicazione di una misura di sicurezza, in aggiunta o meno alla pena principale. Eppure chi si macchia di reati come l’uccisione o il maltrattamento di animali spesso non viene considerato come socialmente pericoloso, cavandosela con la sola pena, tra l’altro insufficiente e detentiva solo sulla carta. Pene che non costituiscono un reale deterrente alla commissione di tali reati e allo stesso tempo non svolgono alcuna funzione rieducativa nei confronti del condannato. Chi uccide un animale rischia la reclusione fino a due anni; chi lo maltratta fino a 18 mesi. L’effetto è quella di una concessione indiscriminata e ingiustificata della sospensione della pena (concedibile per le pene fino ai due anni di reclusione) che legittima il pensiero di chi crede che la figura dell’animale nell’ordinamento non sia un bene davvero degno di essere tutelato .
Un dovere imperativo
La violenza sugli animali è un fenomeno che non può essere sminuito, né ridimensionato. Tendiamo a non considerare gli animali come una minoranza. Essi non hanno coscienza di essere un gruppo, non possono organizzarsi come tale e rivendicare i propri diritti. Sanno esprimersi solo ed esclusivamente individualmente, ognuno a suo modo. E sono un bersaglio comodo, semplice. Perché non hanno voce, non possono chiedere aiuto, non possono raccontare il male che è stato loro fatto. Ed è per questo che tra gli ultimi, sono i più deboli di tutti. Ed è nostro dovere difenderli.
Antonio Scaramozza