Violenza psicologica: un’arma difficile da individuare

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Isabella Rosa Pivot


Il 25 Novembre è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1999 e, ad oggi, ancora di vitale importanza.

Secondo i dati Istat (riferibili al 2018), sono infatti circa 6 milioni e 788 mila le donne in Italia che hanno subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Tra queste, 652 mila che hanno subito uno stupro.
Ma la ricerca non si ferma alla forme di violenza più gravi: ben il 13% ha subito minacce o colpi nella sua vita; assai diffuse ancora le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%) e i tentati stupri (3,5%).
Con l’arrivo della pandemia da Covid-19 questi dati si sono ulteriormente aggravati, soprattutto relativamente alla violenza domestica e ne avremo ben presto riscontro tramite i dati che si stanno raccogliendo.
Essenziale dunque denunciare ancora ed ancora una simile situazione in questa giornata, che vede fortunatamente parecchie azioni mirate a combatterla.

In questo quadro, però, viene poco trattata la violenza psicologica, altrettanto dannosa di quella fisica ed al contempo di assai più difficile individuazione.
Una violenza che colpisce entrambi i sessi indistintamente, ma che miete tra le donne oltre 300 mila vittime l’anno, rappresentando spesso l’anticamera di violenze fisiche gravi e necessitando dunque di diventare un altrettanto forte argomento di denuncia in occasione di questa giornata.
Il subdolo abuso psicologico sarebbe in teoria sanzionabile a livello legale, ma alcune lacune normative e le molteplici sfaccettature di questa tipologia di sopruso possono ostacolare un intervento efficace, che spesso giunge solo nel momento della degenerazione in violenza fisica. Parlarne, risulta quindi una prima e utile azione per combatterla.

La violenza psicologica assume dinamiche denigratorie e mortificanti, comportamenti abusivi che si protraggono nel tempo: umiliazioni, gelosia ossessiva e immotivata, imposizione economica, spesso anche allontanamento della vittima da familiari e amici. L’obiettivo del carnefice è di distruggere l’autostima del partner, così da assicurarsi una sua dipendenza totale e per farlo utilizza strumenti come la critica continua, il sarcasmo ed il controllo.
Si tratta di una trappola pericolosa dalla quale è difficile liberarsi. Infatti, si tende ancora a dipingere la vittima come elemento debole e lo si accusa di non volersi ribellare. In realtà, spesso la vittima non si rende conto del circolo vizioso in cui è caduta, poiché subisce “il lavaggio del cervello” del suo carnefice, capace di far leva su un senso di colpa immotivato.
I traumi derivanti dalla violenza psicologica sono equiparabili a quelli fisici: basti pensare al disturbo post traumatico da stress che ne deriva.

Come identificarla?

All’inizio di una relazione, anche quella che poi si rivela malsana e pericolosa, tutto appare “normale”. Difficilmente , infatti, un uomo si presenta come irrispettoso e se lo facesse, probabilmente, la donna in questione non ci uscirebbe più. Il partner all’inizio della storia si mostra affabile, gentile, simpatico e stimato dai più. Nel giro di poco tempo, però, il suo atteggiamento si modifica.
Ci sono atteggiamenti definibili come “campanelli di allarme”, che dobbiamo imparare a leggere: tra le avvisaglie più comuni e forse di più facile identificazione, c’è la gelosia patologica.
Quest’ultima viene attuata attraverso meccanismi ripetuti e reazioni esagerate:
il partner viene spiato, controllato e spesso anche seguito, alla ricerca di un costante segno di infedeltà e al fine di limitare se non eliminare totalmente la sua libertà. Facendo leva sull’amore ed il senso di colpa della vittima, mirando a farla sentire sbagliata senza motivo, il carnefice arriva così a fare terra bruciata – mediante piccoli step – intorno a lei. La vittima di violenza psicologica, nella fase iniziale, può rendersi conto della situazione in cui si trova, quando dedica ore a dare spiegazioni per una mancata risposta a una telefonata, oppure per uno “stato online” su Whatsapp; per un post od un like su un social network; per un caffè con un’amica senza prima aver chiesto il “permesso”.
Sono tutti elementi che, però, possono essere facilmente minimizzabili; chi pratica violenza psicologica, tende inoltre a creare un circolo vizioso, in cui spesso si scusa e chiede perdono per poi ricominciare il maltrattamento, al fine di creare una giustificazione del suo atteggiamento e colpevolizzare la vittima stessa. Le umiliazioni e il controllo più serrato non possono che aumentare, culminando spesso e rapidamente in un maltrattamento fisico.
Un valido aiuto può arrivare dalle persone vicine alla coppia, meglio capaci di rendersi conto del grado di possessività ed eccessiva gelosia che una persona può avere nei confronti del partner.

Svalutazione continua, stalking, limitazione all’autonomia morale ed economica: oltre alla gelosia ossessiva – prima grande avvisaglia – la violenza psicologica ha tantissime sfaccettature. Importante dunque non sminuirla, ma darle la giusta rilevanza nel quadro più ampio della violenza di genere. E non solo.

 

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