L’ennesima violenza in Egitto ai danni di una donna, durante una festa all’hotel Fairmont. Le autorità, però, arrestano le ragazze che hanno deciso di testimoniare sporgendo denuncia alla polizia.
I fatti
La violenza è avvenuta sei anni fa, nel 2014, ma è rimasta sepolta per tutto questo tempo. La vittima infatti, sul cui corpo gli stupratori hanno inciso le loro iniziali, non ha avuto il coraggio di denunciare. Complice del suo silenzio uno stato, quello egiziano, profondamente radicato nel maschilismo e autore di violenze esso stesso. A riprova di ciò, infatti, c’è l’arresto delle quattro ragazze testimoni che si sono rivolte alle forze dell’ordine locali per denunciare la violenza.
I fatti hanno luogo al Fairmont Hotel del Cairo, durante una festa dell’alta società egiziana. In quell’occasione una giovane donna è stata drogata e rapita da un gruppo di ragazzi che hanno abusato di lei, riprendendo la violenza con i loro smartphone.
Sarebbero proprio i video diffusi sui social negli ultimi giorni ad aver portato all’attenzione pubblica l’ennesima violenza in Egitto; così, a fine agosto, la Procura del Cairo ha rilasciato una serie di mandati di cattura per le persone coinvolte.
Ma le condivisioni in internet hanno permesso agli stupratori di fuggire all’estero ed evitare l’arresto. Tre di loro sono stati fermati in Libano e si attende per l’estradizione, altri due sono stati bloccati in aeroporto al Cairo mentre cercavano di scappare.
Il timore, ora, è quello di possibili insabbiamenti nelle indagini per favorire i colpevoli ai danni della vittima.
L’arresto delle testimoni
Nel frattempo, infatti, l’attenzione delle autorità è diretta tutte sulle quattro ragazze che, avendo visto qualcosa di sospetto quella notte del 2014, hanno deciso di denunciare l’accaduto alla polizia e testimoniare. In tutta risposta, però, sono state arrestate dalla polizia egiziana, accusate di utilizzo di droga e “incitamento alla dissolutezza e danneggiamento dell’immagine dello Stato egiziano”. Le ragazze sono state sottoposte a test antidroga e test forensi; sono stati sequestrati loro i cellulari e analizzato il materiale scaricato dai dispositivi tecnologici. I riflettori, dunque, sono puntati esclusivamente su di loro, colpevoli di essere donne e testimoni di un atto di violenza in Egitto, Stato maschilista e repressivo.
Le ragazze sono state subito trasformate in colpevoli da un meccanismo diffamatorio cui hanno preso parte, in prima linea, media e regime egiziano. Da anni ormai il governo porta avanti una battaglia contro gli attivisti per i diritti umani che si battono in questo stato autoritario.
A farne le spese non sono solo le donne, vittime della società stessa, ma anche giovani studiosi come Patrick Zaki e giornalisti in favore della libertà d’informazione.
L’ondata di arresti
Gli atti di violenza in Egitto proseguono senza sosta dall’arrivo al potere di Al-Sisi, raggiungendo il culmine nel settembre del 2019, con una massiccia manovra repressiva che ha contato 2300 arresti. Tra gli arrestati si contano attivisti e manifestanti pacifici, avvocati per i diritti umani, giornalisti ed esponenti politici. La denuncia arriva da Amnesty International che fa notare come, tra di loro, ci siano anche 11 minori (tra 11 e 17 anni); tutti con l’accusa di “incitamento alla protesta”
“Il governo del presidente al-Sisi ha orchestrato questa campagna repressiva per abbattere il minimo segnale di dissenso e ridurre al silenzio ogni dissidente. L’ondata senza precedenti di arresti di massa, che ha riguardato anche persone non coinvolte nelle proteste, invia un messaggio chiaro: chiunque sia considerato una minaccia per il governo sarà colpito”
(Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International)
Vittime della violenza in Egitto, come già detto, giornalisti e blogger: colpevoli di promuovere un’informazione indipendente. Proprio lo scorso maggio si è diffusa la notizia dell’arresto di Lina Attalah, direttrice del sito d’informazione indipendente Mada Masr, considerata l’ultima voce libera egiziana. Prima di lei, lo youtuber Mustafa Hany è stato arrestato e da allora si sono perse le sue tracce; o ancora i giornalisti Sameh Hanin, Haisam Hasan Mahgoub e Moataz Abdul Wahab.
Questi sono solo alcuni dei nomi delle vittime del regime di Al-Sisi che intende mettere a tacere ogni forma di dissenso verso il suo governo, attaccando media indipendenti e manifestanti.
La condizione delle donne
La violenza in Egitto contro le donne, invece, si consuma non solo da parte del governo, ma anche tra le mura domestiche; nella vita pubblica di tutti i giorni e nei centri di detenzione. La situazion, negli anni, non sembra migliorare, ma andare nella direzione opposta. Non sono state fatte riforme serie e continua a pesare l’impunità che scagiona gli aggressori, colpevolizza le vittime e le scoraggia a denunciare la loro condizione.
Un tentativo di depistaggio lo si sta già vedendo nella vicenda narrata ad inizio articolo. Cominciano, infatti, a circolare voci di scarsa veridicità dei video della violenza diffusi in internet.
Nel 2014 è stata introdotta una legge che punisce con un solo anno di carcere i reati sessuali, ma da allora a essere puniti sono stati davvero in pochi. Anche quando una donna trova il coraggio di chiedere aiuto non trova ascolto nelle forze dell’ordine che, anzi, spesso rispondono con disprezzo.
“In ogni aspetto della loro vita, di fronte alle donne e alle ragazze egiziane si presenta, in onnipresente agguato, lo spettro della violenza fisica e sessuale. Tra le mura domestiche, molte sono sottoposte a vergognosi pestaggi, aggressioni e violenze da parte di mariti e parenti. In pubblico subiscono costanti molestie e aggressioni di gruppo, cui si aggiunge la violenza degli agenti statali”
Nonostante molte voci in appoggio alle ragazze arrestate, il regime alimenta la macchina del fango verso le testimoni e non sembra realmente intenzionato a punire i veri violenti e colpevoli, complice forse la loro appartenenza all’élite egiziana.
Marianna Nusca