I dati allarmanti che emergono dalle ricerche e dai sondaggi sulla violenza di genere dimostrano che nel mondo almeno una donna su tre ha subito violenze fisiche o psicologiche.
Le iniziative politiche a livello internazionale contro la violenza di genere hanno origini recenti, nonostante questo fenomeno abbia radici culturali riconducibili a società non solo contemporanee.
Nel 1993, l’ONU sottoscriveva una Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne e fu proprio questo il primo tassello per la costruzione di un progetto volto a contrastare ogni tipo di violenza di genere.
Successivamente, nel 1999, le Nazioni Unite istituiscono la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” che ricorre ogni 25 novembre e mira a sensibilizzare l’opinione pubblica in merito all’importanza e al dovere di contrastare ogni tipo di violenza di genere. La scelta di questa data fa riferimento all’uccisione di tre sorelle (Patria Mercedes, Antonia María Teresa Mirabal e María Argentina Minerva), assassinate il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana per la loro resistenza alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo.
Il termine “femminicidio” entra a far parte del vocabolario politico internazionale
Il termine “femminicidio” si inserisce in ambito politico grazie all’antropologa e sociologa Marcela Lagarde e viene utilizzato per riferirsi ad un insieme di pratiche sociali che vanno a ledere la condizione femminile sia a livello pubblico che privato.
Nel 1997, Lagarde utilizza la parola “femminicidio” per riferirsi ai gravi episodi avvenuti a Ciudad Juàrez, in Messico, dove dal 1993 decine di donne furono sfruttate negli stabilimenti industriali e poi uccise brutalmente.
L’antropologa definisce il femminicidio come una violazione dei diritti umani delle donne, che sfocia in un eccesso di violenza contro di esse. Tale violazione dipende da comportamenti misogini che mettono la donna in una condizione fragile e che vengono normalizzati dalla mancanza di pene concrete, sia per quanto riguarda l’ambito sociale sia per quello statale.
La mancanza del raggiungimento di una propria indipendenza da parte della donna è causata da una cultura di matrice patriarcale e maschilista. Ciò è alla base della problematica che vede la donna totalmente dipendente da un uomo, il quale viene elevato ad una condizione di assoluta prevalenza. Tutto ciò crea paradigmi in cui sia l’uomo che la donna sono vittime di un sistema di preconcetti che comanda la realtà sociale e morale.
La strategia politica europea per contrastare la violenza di genere
Le iniziative promosse dall’Unione Europea in merito a progetti che prevedono normative e leggi riguardanti le pari opportunità fanno il loro ingresso nello scenario politico solo a partire dagli anni duemila. L’impego legislativo, finalmente, inizia a prendere in considerazione questo tipo di violenze non più solamente da un punto di vista neutrale, ma conferisce a tali azioni una valenza che sposta la centralità del problema sulla questione di genere.
Evento cardine per questo cambiamento di visione politica è senza dubbio l’introduzione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (o Carta di Nizza), proclamata nel dicembre del 2000 a Nizza e riadattata nel 2007 a Strasburgo.
Con essa vengono definitivamente riconosciuti i diritti che appartengono alla dignità umana, il divieto di trattamenti degradanti e disumani, l’opposizione alla discriminazione in base al sesso e, infine, l’obbligo di riconoscere la parità tra donne e uomini.
Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel 2009, la Carta di Nizza acquista un valore giuridico e diventa un vincolo per le istituzioni europee e per gli Stati membri, ufficializzando così la parità dei diritti tra donne e uomini come valore fondamentale e consacrando tali principi come uno dei maggiori obiettivi della politica dell’Unione Europea.
Nella Convenzione di Istanbul, firmata nel 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013, vengono citate testuali parole:
“L’espressione violenza contro le donne basata sul genere designa qualsiasi violenza contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato”.
Infatti, tale Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale e giuridicamente riconosciuto che vincola una normativa a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza anche in ambito domestico, dove tali episodi colpiscono non solo le donne stesse ma anche altri soggetti, come bambini e anziani.
Queste applicazioni politiche rappresentano dei traguardi importanti e hanno dato il via a misure legislative adottate dai singoli Stati membri dell’UE che hanno come scopo quello di contrastare e arginare la violenza di genere.
La lotta contro la violenza di genere nelle legislazioni degli Stati fuori dai confini europei
Negli Stati Uniti, il primo Stato a criminalizzare il reato di stalking è stata la California nel 1990 e, nei tre anni successivi, le norme anti-stalking sono state adottate da tutti gli Stati americani con il riconoscimento di processi penali che prevedono pene fino alla reclusione in carcere.
Anche il Canada, nel 1993, ha approvato una serie di disposizioni che vanno a rafforzare le leggi in tutela delle donne e che sono state inserite nel Codice penale, più precisamente nella sezione 264, dedicata alle molestie criminali.
Un caso isolato, invece, è rappresentato dal Messico in quanto in questo Stato non è in vigore nessuna politica per la tutela delle vittime della violenza di genere.
Nonostante l’altissimo tasso di femminicidi e le costanti manifestazioni organizzate da attivisti e associazioni, non si è ancora trovata una soluzione che possa portare alla sottoscrizione di una legge che tuteli le donne e che approvi l’applicazione di sanzioni per diminuire il tasso di femminicidio del Paese.
Spostandoci dall’altra parte del mondo, la violenza di genere non risparmia neanche le culture e tradizioni orientali. Infatti, i Governi hanno adottato politiche per contrastare episodi di femminicidio sempre più frequenti. Due esempi chiave sono la Cina e il Giappone.
In Cina, lo stalking è proibito dal 1987 e tale normativa è stata recentemente aggiornata per far fronte a nuove tipologie di crimine che vengono denunciate e individuate soprattutto grazie all’uso di Internet.
In Giappone, invece, la legge anti-stalking risale al 2000, quando l’omicidio di Shiori, una studentessa ventunenne, sconvolse l’opinione pubblica. Tuttavia, negli ultimi anni sono nate proteste e polemiche attraverso le quali viene richiesta una modifica di questa disposizione ormai datata, per raggiungere una maggior protezione e tutela delle donne.
L’impegno politico non è sufficiente per arginare questa problematica
Il raggiungimento di un pensiero collettivo di rifiuto verso la violenza di genere, che possa tutelare tutti coloro che ne sono vittime, è ancora un’utopia.
Se da una parte agiscono l’empatia e il lato umano, dall’altra questo viene ostacolato dall’illusione di poter eliminare tali episodi di violenza soltanto attraverso un processo legislativo.
Infatti, alla messa in vigore di leggi e sanzioni si deve accostare un processo di cambiamento culturale che possa sradicare le fondamenta di tali problematiche dalle culture di tutto il mondo.
Andrea Montini