Violenti si nasce o si diventa? Come educare alla non aggressività

Ci stiamo abituando alla violenza ed è preoccupante. Le cronache di aggressioni e atti violenti sono diventati il pane di ogni giorno. Il problema su come educare alla non aggressività è diventato urgente.

Nel momento in cui quattro ventenni uccidono un loro coetaneo, solo per il gusto di fargli del male, è nostro dovere andare in fondo alla questione per capire i motivi di tale aggressività inaudita e riflettere su come possiamo prevenirla.
La tragedia di Colleferro è segno di una disumanità radicata nel profondo della società. Di chi è la responsabilità? Limitare la riflessione ai singoli colpevoli è riduttivo, poiché ci si concentrerebbe solo sugli effetti e non sulla causa.

Il nodo del problema, nonché unica soluzione, è l’educazione.  Vale la pena soffermarci sullo strettissimo rapporto tra pratiche educative dell’infanzia e il successivo sviluppo della personalità.

Educare alla non aggressività

Nel 1978, viene pubblicato Learning non Aggression (Il buon selvaggio. Educare alla non aggressività) a cura dell’antropologo Ashley Montagu, famoso per la sua costante lotta contro il razzismo e  contro il concetto di “razza”.

Violenti si nasce o si diventa?

Montagu era convinto che l’idea dell’aggressività come universale e innata fosse profondamente sbagliata. Da un punto di vista morale, in quanto conduce a giustificare gli atti di violenza. Ma anche da un punto di vista scientifico, perché confermerebbe che tutti gli esseri umani sono destinati a esprimere tale impeto.

Lo sviluppo del comportamento aggressivo, sia negli animali sia negli essere umani, dipende, in ogni sua fase, da una complessa interazione tra geni e ambiente, in cui però l’esperienza sociale gioca un ruolo centrale. […] Qualunque siano o possano essere le potenzialità aggressive umane, è chiaro che le manifestazioni di aggressività dipenderanno in larga parte dagli stimoli ambientali che riceveranno.

La tesi di Montagu è avvalorata dal fatto che sono esistite – ed esistono ancora -popolazioni che non fanno mai ricorso alla violenza, come il popolo dei Senoi.
La violenza è, dunque, qualcosa che apprendiamo.

Il popolo dei non-violenti: i Senoi della Malesia. 

Nelle alture della Malesia centrale vive un popolo aborigeno chiamato Senoi. Si calcola che siano circa in sessantamila divisi in piccoli villaggi, dove conducono una vita molto semplice.

Questo popolo è curioso per due particolari aspetti della sua cultura:
l’interesse per i sogni e l’assenza di comportamenti aggressivi

Nel corso della loro storia queste popolazioni hanno combattuto contro gli invasori stranieri, ma nella vita quotidiana i gesti violenti sono fatti insoliti e biasimati.

Come fanno i Senoi a tenere lontana l’aggressività? 

La risposta sta nel rapporto madre-figlio e nel processo di educazione e socializzazione dei bambini.
Il bambino che nasce è ritenuto figlio della educare alla non aggressivitàcomunità, ed è dall’intera comunità che viene educato. Il piccolo sta con tutti gli altri bambini e insieme  godono di una libertà impressionante.

Il senso della tribù, della famiglia e della patria è vago e non esistono confini territoriali e sociali.  Quella dei Senoi è una vita aperta e libera, tesa a instaurare un rapporto intimo con le persone circostanti. L’unico valore trasmesso è quello della spontanea condivisione con gli altri.

La vita dei Senoi è, chiaramente, molto meno complessa e contraddittoria di quella occidentale. Ma le cosiddette società avanzate hanno molto da imparare da questi popoli “primitivi”. Educare alla non aggressività, per esempio.

Il carattere non violento è frutto di un’educazione affettuosa e non punitiva che non fa ricorso all’ira e alla paura

Essendo noi umani, naturalmente predisposti all’apprendimento, c’è di che essere ottimisti. Riuscendo a capire le condizioni che producono il comportamento aggressivo, si potrebbe anche controllare (e prevenire) il manifestarsi e lo sviluppo di tale condotta.

Riflettiamo su questo. 

Doriana Bruccoleri

 

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