L’Australia è finita sotto accusa da parte del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite per gravi violazioni dei diritti dei richiedenti asilo detenuti nei centri per migranti a Nauru e Manus. Questi centri, destinati a ospitare migranti intercettati in mare e trasferiti fuori dal territorio australiano, sono stati teatro di detenzioni arbitrarie, condizioni disumane e abusi. Nonostante le difese di Canberra, che ha attribuito la responsabilità ai Paesi ospitanti, il Comitato ha confermato l’effettivo controllo esercitato dall’Australia, ritenendola responsabile per il mancato rispetto degli obblighi internazionali. Le Nazioni Unite hanno poi lanciato un altro monito per tutti gli altri Paesi che potrebbero seguire lo stesso percorso di esternalizzazione delle frontiere e trattamento disumano dei richiedenti asilo.
Il contesto delle accuse
Da oltre vent’anni, l’Australia ha adottato una controversa politica migratoria che prevede il trasferimento dei richiedenti asilo intercettati in mare verso centri di detenzione situati in Paesi vicini come Nauru e Manus.
Questi centri, finanziati e gestiti con il supporto del governo australiano, sono stati spesso criticati per le condizioni di vita disumane: sovraffollamento, mancanza di acqua potabile, carenze sanitarie e abusi documentati ai danni dei migranti. Nonostante ciò, l’Australia ha difeso la propria posizione sostenendo che tali violazioni si siano verificate al di fuori della sua giurisdizione, affidando la responsabilità ai Paesi ospitanti.
Nonostante ciò, la Commissione delle Nazioni Unite ha ribaltato la posizione dell’Australia sottolineando l’impegno, tanto politico quanto economico, nell’organizzazione e creazione dei centri per migranti, sebbene al di fuori della sua area giuridica di competenza.
Le decisioni del Comitato ONU
Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, in due decisioni pubblicate nel gennaio 2025, ha stabilito che l’Australia ha violato il Patto sui diritti civili e politici del 1966. Secondo il Comitato, le detenzioni arbitrarie dei richiedenti asilo trasferiti a Nauru rappresentano una grave violazione dell’articolo 9 del Patto, che vieta la privazione ingiustificata della libertà.
Il Comitato ha inoltre respinto la tesi australiana sulla mancanza di giurisdizione, evidenziando l’effettivo controllo esercitato dal governo di Canberra sui centri di detenzione tramite finanziamenti diretti e accordi bilaterali, come il Memorandum of Understanding del 2012.
Le condizioni nei centri di detenzione
Tra i reclami presentati al Comitato ONU, spiccano i casi di 24 minori non accompagnati provenienti da Paesi come Iraq, Iran, Afghanistan e Myanmar. Questi giovani, intercettati in mare e inizialmente condotti a Christmas Island, sono stati successivamente deportati a Nauru, nel 2014. Lì hanno affrontato anni di detenzione in un ambiente sovraffollato e insalubre, caratterizzato da temperature estremamente elevate e carenze di risorse essenziali come acqua e medicinali.
Le conseguenze per i minori sono state devastanti, sia a livello fisico che psicologico. Un altro caso significativo riguarda una donna irachena che, dopo essere stata trasferita a Nauru con la sua famiglia, è stata infine evacuata in Australia per motivi medici, ma solo dopo aver subito gravi privazioni.
La responsabilità australiana
La Commissione delle Nazioni Unite ha chiarito che l’Australia non può sottrarsi alle proprie responsabilità internazionali, poiché i centri di detenzione operano sotto la sua giurisdizione. L’istituzione di queste strutture e il trasferimento forzato dei richiedenti asilo sono decisioni dirette del governo australiano, che ha finanziato e supervisionato le operazioni.
La Corte Suprema della Papua Nuova Guinea aveva già chiuso il centro di Manus dichiarandolo incostituzionale, ma quello di Nauru rimane attivo. Ora, l’Australia è chiamata a garantire un risarcimento alle vittime e a riformare le proprie politiche migratorie per evitare ulteriori violazioni.
Inoltre, le Nazioni Unite hanno invitato caldamente l’Australia a prendere delle decisioni in materia di riparazione, attraverso risarcimenti delle vittime, e affinché violazioni di diritti umani nei confronti dei richiedenti asilo non capitino più. Nonostante non ci sia una sentenza vincolante e dunque obbligatoria, la Commissione delle Nazioni Unite ha un potere anche in termini di reputazione internazionale nei confronti dello Stato a cui si rivolge.
Le implicazioni internazionali
Le decisioni del Comitato ONU hanno un’eco che supera i confini australiani. Il modello di esternalizzazione delle politiche migratorie adottato da Canberra ha ispirato altri Paesi, tra cui il Regno Unito e l’Italia. Tuttavia, queste pratiche sollevano interrogativi etici e giuridici sul rispetto dei diritti umani.
La condanna dell’Australia sul trattamento dei richiedenti asilo nei centri per migranti potrebbe rappresentare un precedente significativo, spingendo la comunità internazionale a riconsiderare le politiche di detenzione dei migranti.
L’Australia si trova a dover bilanciare la protezione delle proprie frontiere con il rispetto degli obblighi internazionali sui diritti umani. Le violazioni accertate dal Comitato ONU non sono solo una macchia sulla reputazione del Paese, ma anche un richiamo urgente alla necessità di un cambiamento strutturale. Le future politiche migratorie dovranno garantire condizioni dignitose per i richiedenti asilo, rispettando i principi fondamentali della giustizia e dell’umanità.