Di Maurizio Martucci
Per i 30 anni c’ho scritto il libro ‘Cuore Tifoso’, oggi ne sono passati 38. Questa è la vera storia. Rullo di tamburi, il grido di battaglia nella giungla metropolitana: “Morirete, morirete“. I lacrimogeni aggressivi delle guardie, l’odore acre dei fumogeni da incenso domenicale. Aperte le danze, il passaggio di riti orgiastico-collettivi sacrificali su bare cartonate, croci funerarie e litanie vampiresche. Il gioco delle parti è archeologia Ultras da derby, un inno anni ‘70: “Rocca bavoso i morti non resuscitano“. La scia irriverente del lutto data 28 Ottobre 1979, sangue allo Stadio Olimpico con offese gratuite senza sconti. Taccola-Re Cecconi, stelle precocemente cadute, le provocazioni in spray rielaborate da rinfacciare: dopo il corpo, la presa dell’anima. “10-100-1000 Paparelli“ sarà lo scalpo del nemico, la preda imbalsamata da ostentare. Necrofila trasgressione trash per chi non tradisce indignazione, né sensi di colpa. E’ l’inizio della fine, la perdita dell’innocenza di una generazione cresciuta a striscioni e bandiere.
Coincidentia oppositorum per opposti estremismi in gradinata significa tribù, tabù, disinformazione, strumentalizzazioni e business dei poteri forti sui teoremi della paura nel laboratorio sociale delle masse italiche. Tutto è cambiato, per non cambiare nulla. “Se vedessi un ragazzo con dei razzi in mano glieli farei ingoiare. Mi sono rovinato la vita per quella robaccia”. Giovanni Fiorillo era lo Tzigano, innescò il razzo nautico planato sul volto inerme di Vincenzo Paparelli, meccanico romano, padre di famiglia, cuore tifoso e moglie accanto ustionata dalla combustione del male: “Vincenzo non puoi morire, non puoi lasciarmi sola. Abbiamo due figli“. Orrore e caos, guerriglia urbana col fuggi fuggi sui vecchi spalti. The show must go on per scendere in campo, arbitra D’Elia. Wilson sotto la curva come analgesico, tampona istintivamente la rabbia senza placare il dolore. Autoalimentazione di eventi nefasti per crisi d’identità senza frontiere.
“Sto facendo una vita infame – Tzigano, il nomade emarginato – Ho tirato a campare. Devi sempre correre, scappare, diffidare di tutto e tutti. I vecchi amici mi hanno abbandonato. Perfino la ragazza mi ha piantato”. Latitanza bergamasca e fuga in Svizzera, esilio forzato dal Commando Ultrà prima di costituirsi in Questura, finendo in carcere, tunnel della droga e un’altra vita spezzata. La sua. Bruciata nell’incubo sparato a 200 metri di distanza. Lo Tzigano fu agito da mano non premeditata, preterintenzionalmente omicida per una sfida incontrollabile, troppo più grande della sua acerba maggiore età.
Populismi, impulsi primordiali e istinti archetipici nelle sovrapposizioni sociali del calcio. Lo zoologo inglese Desmond Morris lo aveva capito quando istituzioni e politica nostrana, timidamente dal letargo gridavano “Al lupo, al lupo”. Solo per fare cassetta.
“Scriverò una lettera alla moglie e ai figli di Paparelli per chiedere perdono. Quel disgraziato è morto, ma sono disgraziato anch’io che continuo a vivere con questo peso sulla coscienza”. Damnatio memoriae all’amatriciana: avvisati gli emulatori. Roma-Lazio 1-1, lo score. Da allora, nella Capitale il tifo non è più stato lo stesso. Ma la morte però, sempre più uguale per tutti.