Antonio Forchione, operaio nella fabbrica di Rivoli di una multinazionale svizzera, era stato licenziato al suo rientro dopo lunga assenza (8 mesi), causa trapianto di fegato.
Il trapianto di fegato però è un assenza più che giustificata e per l’operaio si trattava di vita o di morte in questo caso.
Il licenziamento dell’uomo di 55 anni, ormai un pò troppo avanti con gli anni per trovarsi un nuovo lavoro, è finito su tutte le pagine dei giornali, scatenando la furia dei lavoratori italiani e non solo.
L’indignazione nel suo caso è servita a far tornare sui propri passi l’azienda, che per non “perdere la faccia“, ha rivisto la sua decisione ed ha annullato il licenziamento dell’uomo.
Ma davvero bisogna arrivare ogni santa volta alla stampa nazionale o in tv per vincere una ingiustizia? E se la storia di quell’uomo fosse passata in sordina?
All’operaio erano stati dati ancora 6 mesi di vita dai medici che lo avevano visitato, il trapianto di fegato era supernecessario, allora perché questa insensibilità generale da parte delle aziende?
Donne in gravidanza licenziate, uomini malati licenziati.
Il lavoro non era dignità? No, è sempre stato schiavitù e gli uomini agli ordini di altri uomini non sono considerati uomini, ma merci da rottamare quando non c’è più bisogno di loro.
Il lavoro nel 2017 in Italia è ancora molto lontano dall’essere un rapporto umano di cooperazione tra individui, al contrario è soggetto al disgustoso motivo di ricatto del “Se non lavori non mangi“.