Videogiochi inclusivi: disabilità e tecnologia si incontrano

Videogiochi-inclusivi

Il settore videoludico abbatte le barriere, dimostrando la sua accessibilità anche alle persone disabili.

Giocare è un’attività che fa parte della nostra vita fin da piccoli. Ha indubbiamente la sua importanza, che non si esaurisce di certo solo nel concetto di svago, piuttosto, migliora anche la capacità di apprendimento e rafforza il linguaggio dei bambini nelle prime fasi di sviluppo. Quindi, che il gioco rivesta una funzione fondamentale nei bambini è evidente, e ancora di più probabilmente nei ragazzi disabili. Molti di noi sono ancora scettici quando sentono la parola videogioco. Non rispecchia esattamente il concetto di gioco che prevede un contatto fisico con una persona, ma consente di relazionarsi tramite uno schermo con altri giocatori. Per fortuna, con il tempo si è parlato di videogiochi inclusivi adatti anche alle persone disabili.

Questa realtà non fisica, che accompagna i videogiochi, viene spesso ritenuta alienante per questi ragazzi, sebbene rappresenti una vera e propria risorsa per le persone con disabilità.

Il mercato dei videogiochi

In Italia, nel 2022 il mercato dei videogiochi ha fatturato 2,2 miliardi di euro, un numero che fa veramente riflettere. Secondo IIDEA, associazione che rappresenta e promuove il settore dei videogiochi in Italia, sono 14,2 milioni i videogiocatori, la cui età media è di 29,8 anni. Un maggior peso proviene dalla fascia tra i 45 e i 64 anni (24,6%), e dalla fascia tra i 15 e i 24 anni (24,0%). Sono anche altre le fasce d’età coinvolte:

È interessante notare come anche la donna rappresenti una percentuale abbastanza elevata tra i videogiocatori in Italia. Infatti, si parla di un 42,0% con un’età media di 30,6 anni. Mentre, tra le diverse piattaforme usate possiamo ricordare i dispositivi mobile, console ma anche pc.

Negli ultimi anni, molte industrie di videogiochi si sono così impegnate per renderli inclusivi anche ai disabili. Si stima che, solo negli Stati Uniti, siano circa 33 milioni i gamer disabili.

Un’esperienza di gioco più fruibile grazie ai videogiochi inclusivi

Quanti di noi tornati da scuola o dopo una faticosa giornata, l’unica cosa che desideriamo è un po’ di riposo? E perché no, magari immergendoci nella realtà dei videogiochi. Le nostre esigenze di svago spesso sono le medesime di un ragazzo con disabilità. Per questo motivo, ormai anche il settore videoludico si è interfacciato con questa realtà, facilitando il gioco anche a questi ragazzi. L’accessibilità e l’inclusività sono due pilastri di questo settore da tempo, ciononostante, tutti i videogiochi sono inclusivi? Tutti i videogiochi rappresentano una risorsa per i disabili?



Ci piacerebbe dire di sì, ma in concreto non è così. Esistono ancora molte barriere di accesso ad alcuni videogiochi, la cui conseguenza non è altro che discriminare e allontanare ancora di più questi ragazzi disabili. Molti presentano ancora comandi complessi, non facilitando sicuramente l’esperienza di gioco. Non solo, molti altri propongono rappresentazioni non appropriate di personaggi disabili, accentuando il concetto di diversità. Altro aspetto, non meno importante, riguarda la dipendenza da gioco, che può essere limitata o comunque ridotta da noi, anche se molto spesso ci risulta difficile, e lo è ancora di più per i ragazzi disabili.

Ovviamente, ci sono anche degli aspetti positivi quando parliamo di videogiochi inclusivi. La realtà con cui si interfaccia un ragazzo disabile mentre sta giocando è ricca di stimolazioni, perché gli permette di creare una rete di amicizie, anche facilmente, cosa che non succede sempre nella vita quotidiana. Per questi ragazzi non è solo unicamente un momento di svago, ma anche un’opportunità per socializzare. Addirittura, per alcuni disabili questi videogiochi inclusivi svolgono una funzione terapeutica.

Alcuni esempi di videogiochi inclusivi

Tra i tanti che possiamo ricordare, al primo posto troviamo il videogioco The Last of Us Part II. Lanciato nel 2020 da Steve Saylor, è stato soprannominato “il gioco più accessibile di sempre”. È un gioco d’azione e d’avventura in cui si cerca di uccidere zombie, cannibali e umani, con oltre 60 impostazioni di accessibilità per persone con disabilità uditive, visive e motorie. Si possono personalizzare tutti i controlli, per esempio, attivare l’opzione per tenere premuti i tasti invece di doverli premere continuamente, pensati per chi ha disabilità motorie. Esistono i sottotitoli per i non udenti, invece per i non vedenti si possono attivare segnali audio al fine di indicare dei possibili ostacoli.

Oltre a The Last of Us Part II, esistono altri videogiochi inclusivi come Minecraft, che permette di costruire e creare diverse realtà con blocchi in 3D.

La BBC ha raccontato la storia di Seth, un ragazzino di 13 anni, la cui malattia lo accompagna dalla nascita, costringendolo alla sedia a rotelle. Seth riceve le cure per la sua distrofia muscolare di Duchenne presso l’ospedale pediatrico nel sud del Galles, ed è lì che si abbandona alla realtà virtuale dei videogiochi, grazie a una sala appositamente creata.

Seth ha ricordato che:

«Se sei su una sedia a rotelle, non puoi sempre correre con tutti, quindi quando gioco a Minecraft, posso correre ed è davvero divertente. È una fuga dalla realtà in cui lasci correre la tua immaginazione. Amo i videogiochi perché mi aiutano a vivere le cose come le altre persone».

Per Seth, come per molti altri ragazzi, i videogiochi sono una specie di comfort zone, dove si può essere sé stessi senza essere giudicati.

Anche Dylan, ragazzo con l’ADHD, a cui è stata diagnosticata questa disabilità quando aveva 5 anni, ha ricordato quanto i videogiochi siano stati una risorsa per lui.

Dylan ha confessato che:

«E crescendo sono stato vittima di bullismo anche per il fatto di essere gay, quindi sono andato a giocare perché era uno spazio sicuro per me, mi permetteva di stare nel mio mondo e divertirmi».

Che i videogiochi inclusivi siano una risorsa per molti ragazzi disabili è evidente, bisogna però trovare un equilibrio tra la realtà virtuale e quella reale.

 

Patricia Iori

Exit mobile version