La ricerca condotta da ricercatori del Max Planck Institute per lo sviluppo umano e della clinica universitaria Hamburg-Eppendorf, appena pubblicata su Molecular Psychiatry è il primo studio di lungo termine che indaga la paventata relazione tra videogiochi e aggressività. Lo studio ha riguardato solo soggetti adulti e i risultati hanno escluso qualsiasi relazione tra uso quotidiano di videogiochi, anche violenti, e aggressività.
Non è la prima volta che una ricerca sfata la demonizzazione (o perlomeno fallisce nel provarla) dei videogiochi che viene fatta nei mass-media, tempo fa scrivemmo di come non fosse stato possibile individuare con criteri scientifici un vero disturbo di dipendenza da videogiochi.
Alcuni studi precedenti, limitati e poco approfonditi, avevano dato qualche indicazione che aveva fatto ipotizzare una relazione tra consumo di videogiochi violenti e aumento dell’aggressività e diminuzione della propensione ad aiutare gli altri, ma alla luce del nuovo studio c’è da supporre che i risultati fossero falsati dall’esposizione dei partecipanti a specifici stimoli.
Lo studio odierno è stato condotto su ben 77 volontari ed è durato due mesi, o meglio due mesi è solo il tempo in cui ai partecipanti è stato chiesto di giocare (o di non giocare) quotidianamente. I soggetti sono stati divisi in tre gruppi:
_ a un gruppo di 25 è stato chiesto di giocare tutti i giorni per due mesi a un videogioco considerato violento (Grand theft auto V);
_ a un gruppo di 24 è stato chiesto di giocare tutti i giorni per due mesi a un videogioco sociale non violento (The Sims);
_ infine ai rimanenti 28 soggetti è stato chiesto di non giocare affatto per due mesi.
Ovviamente le persone sono state esaminate prima e dopo il periodo di due mesi, utilizzando una batteria di ben 208 test. Il risultato è stato che per ben 205 test non sono risultate differenze sostanziali nei risultati dei tre gruppi, quindi i tre “positivi” vanno considerati come frutto di mera coincidenza.
I test indagavano livelli di aggressività, empatia, competenze interpersonali, impulsività, umore, ansia e controllo esecutivo che sono risultati inalterati dopo i due mesi dello studio.
A questo punto la ricercatrice che ha diretto lo studio, la professoressa Simone Kühn, si augura che uno studio altrettanto approfondito sia organizzato con partecipanti bambini per vedere se darà gli stessi risultati.
Roberto Todini