La sindrome da dipendenza da videogame e il burnout entrano ufficialmente nell’elenco stilato dall’OMS durante la conferenza di Ginevra, presieduta da Tedros Adhanom Ghebreyesus fino al 26 maggio.
Gli stati riuniti hanno approvato la nuova versione del manuale diagnostico ufficiale (ICD-11), il quale definisce malattie, disturbi, lesioni e altre condizioni di salute correlate, analizzando tutti gli aspetti esterni che possono influenzare la condizione umana.
Nella società moderna, l’evoluzione dell’apprendimento passa attraverso i supporti tecnologici. Tutti hanno giocato o giocano regolarmente con smartphone, iPad o consolle.
App e similari trasformano le modalità di insegnamento e, di conseguenza, modificano il percorso di approccio alle studio di varie discipline non solo nelle scuole, ma sopratutto all’interno delle abitazioni.
È più facile trovare un bambino in tenera età in grado di maneggiare tranquillamente le funzione base di un dispositivo elettronico piuttosto che un adulto stesso.
Non solo educazione e sviluppo, ma anche intrattenimento: i controlli parentali sui dispositivi rendono possibile veicolare la tipologia di immagini e contenuti che somministriamo ai nostri figli. E dunque, via libera a maratona di Peppa Pig o playlist su Baby Shark per sedare la progenie.
Ma dal 1 gennaio 2022, si presterà maggiore attenzione all’insieme di problematiche connesse all’utilizzo smodato dei videogiochi.
Non si parlerà più dunque di una passione adolescenziale, ma verranno stabiliti limiti e modalità tramite le quali si riconosceranno i segnali che trasformano una semplice passione in una vera e propria ossessione.
Per intenderci: si alle maratone di LOL notturne con i compagni di università, no all’alienazione del soggetto rispetto alla quotidianità, al privarsi delle interazioni sociali e all’incapacità comunicativa.
Se queste problematiche persistono per più di dodici mesi, allora si può parlare di malattia.
Ovviamente la domanda sorge spontanea: ma se già adesso i bambini vengono intrattenuti con videogame e similari, quali possono essere effettivamente i segnali di allarme?
Quanto l’educazione genitoriale potrebbe incidere sulla capacità dei minori di relazionarsi con la componente tecnologica?
Se un bambino cresce imparando ad utilizzare come supporto gli strumenti moderni e se la richiesta dell’evoluzione spinge a una maggiore integrazione uomo-macchina, quando e in che modalità si può effettivamente parlare di una vera e propria malattia e non di un atteggiamento simbiotico imposto?
Si analizzano dunque tuti i fattori di stress che possono intervenire per la diagnosi: l’analisi delle abitudini, il comportamento del soggetto rispetto ai propri cari e la capacità e il modo di interagire con le dinamiche della realtà quotidiana.
L’OMS riconosce nello stress la condizione sine qua non per il raggiungimento di un’altra condizione patologica: il Burnout.
I primi studi su questa condizione patologica risalgono addirittura al 1930, quando si associava all’incapacità di un atleta di mantenere i risultati ottenuti o raggiungerne di nuovi.
Esaurimento, cinismo, indifferenza sono i criteri necessari per parlare di burnout. I sintomi sono logorio fisico e mentale, spersonalizzazione e improduttività in ambito lavorativo.
Il disturbo è in genere associato ai ritmi di vita frenetici e ai mutamenti costanti che subisce la relazione uomo- mondo lavorativo. Molti studiosi ritengono infatti che questa patologia si configuri come un problema di natura sociale, alla cui base ci sono meccanismi di relazione alterata rispetto a mutamenti sociali, economici e culturali.
Per entrambe le malattie, maggiore lo stato di estraniamento del soggetto in questione rispetto a compiti e obiettivi quotidiani, maggiori sono le probabilità che si abbia un atteggiamento patologico nel lungo periodo.
Durante l’assemblea interviene anche il Ministro Lorenzin, che pone l’accento sui mutamenti sociali ed economici in relazione alla riforma sanitari: l’equità diventa valore fondamentale, cosi come l’accesso ai servizi sanitari.
Per questo, il Ministro sostiene che “dobbiamo promuovere la copertura sanitaria universale come strumento di sviluppo economico e di pace”.
“L’Italia chiede con forza che la salute dei migranti, anche quella mentale, sia una priorità per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e incoraggiamo il Dr. Tedros a soddisfare i requisiti della relativa risoluzione, che l’Italia ha promosso l’anno scorso.
Altri punti cruciali per noi sono anche la salute mentale nel nostro contesto di invecchiamento della popolazione, le malattie neuropsichiatriche nell’infanzia e l’attenzione alla salute e l’alfabetizzazione scientifica per combattere le cosiddette fakenews“.
Chiara Nobis