Dieci donne vengono assassinate ogni giorno in Messico: strangolate, soffocate, annegate, pugnalate, bruciate, uccise a colpi di arma da fuoco. Lo scorso 27 marzo quattro di questi eventi dolosi si sono verificati nel Quintana Roo, nel Messico orientale. Tra questi, il più vergognoso è quello che ha portato alla morte di una trentaseienne salvadoregna, Victoria Salazar, assassinata sulle strade di Tulum da quattro agenti della polizia.
Victoria Salazar: quando il paradiso si sporca di sangue
Lontano dalle spiagge bianche e dal mare turchese, dal glamour degli hotel e delle feste, il paradiso caraibico della riviera Maya si trasforma in un inferno, la cui brutalità è stata immortalata in un video diventato virale in breve tempo. Le immagini mostrano una donna, Victoria Salazar, che, ammanettata, si contorce mentre un agente di polizia, anch’essa donna, la immobilizza schiacciandole un ginocchio sul collo. Altri tre agenti osservano la scena. Victoria, a piedi nudi, geme, il volto premuto sull’asfalto.
Nella sequenza successiva appare il corpo senza vita della donna, riverso su un fianco. I poliziotti parlano tra loro, non sembrano preoccupati. La sollevano, uno per i piedi, un altro per le braccia, e sistemano il corpo sul cassone della pattuglia 9267. Uno commenta:“Te l’ho detto, questa negra è morta già da prima”. Alla vittima non è stato offerto nessun aiuto: non è stata chiamata un’ambulanza, nessuno ha tentato una manovra di rianimazione. Nessun passante è intervenuto. La vita di questa donna si è conclusa così, caricata come una bestia sul retro di un pick-up.
L’autopsia dirà che Victoria è morta col collo spezzato. Le lesioni alla prima e alla seconda vertebra “coincidono con le manovre di sottomissione applicate alla vittima durante il suo arresto”. Victoria era fuggita dalla miseria e dalla violenza del suo paese. Viveva in Messico dal 2018 in qualità di rifugiata, nella speranza di trovare migliori condizioni di vita. In Messico è morta, uccisa dalle politiche repressive della polizia violenta e razzista, espressione di un paese fondamentalmente misogino. Lascia due figlie, di 15 e 16 anni.
L’indignazione del Messico e di El Salvador
Non si sono lasciate attendere le reazioni indignate del governo messicano. Il Ministero dell’Interno (SEGOB) ha condannato “questo atto di incompetenza e questi abusi da parte della polizia” chiedendo “una punizione per i responsabili”. “Quanto è accaduto ci riempie di dolore e di vergogna” ha commentato il presidente Andrés Manuel López Obrador, descrivendo la morte di Victoria come un omicidio brutale. “Tutti i responsabili saranno puniti” ha aggiunto il Capo di Stato.
Il governo salvadoregno si è stretto intorno alla famiglia della vittima, offrendo “ogni aiuto possibile”. Attraverso il suo account Twitter, il presidente Nayib Bukele ha espresso la sua piena fiducia nella capacità del governo messicano di far sentire “tutto il peso della legge ai responsabili”. In un comunicato stampa il Ministero degli Esteri ha offerto “totale appoggio e accompagnamento alla famiglia della nostra compatriota assassinata”, condannando la morte di Victoria ed esigendo che “le autorità messicane accelerino le investigazioni”. E proprio il governo di El Salvador si è fatto carico delle spese del viaggio della madre di Victoria in Messico e del rimpatrio della salma per il funerale, che si è celebrato il 4 aprile a Sonsonate, a 60 chilometri dalla capitale, San Salvador.
Il caso Victoria Salazar, un “femminicidio di stato”
I quattro agenti responsabili della morte di Victoria Salazar sono stati arrestati con l’accusa di femminicidio, e rimarranno in carcere per tutta la durata del processo. Nel frattempo dilaga la protesta nel paese, dove già si parla di “femminicidio di stato”: Victoria non è morta, è stata ammazzata dalle politiche di sicurezza repressive dello Stato cui si era rivolta per cercare protezione dalla violenza che si vive nel suo paese.
Nel Quintana Roo la polizia non è estranea all’uso di violenza contro le donne. Lo scorso novembre le forze dell’ordine avevano aperto il fuoco, sparando contro un’associazione femminista che manifestava per il femminicidio di una ventenne. “La polizia uccide sulle strade pubbliche. Immagina cosa fa quando nessuno sta guardando” si legge sul profilo social dell’organizzazione Marea Verde México. Secondo le statistiche, il 70% della popolazione messicana non ha fiducia nelle forze dell’ordine.
La rabbia infiamma le associazioni femministe
Mentre sui social si diffonde l’hashtag #JusticiaParaVictoria, le associazioni femministe e i difensori dei diritti delle donne scendono in strada per gridare la loro indignazione contro l’ennesimo caso di femminicidio, un problema endemico in Messico. Già perché, sebbene il caso di Victoria debba essere “contestualizzato nel quadro della discriminazione contro i migranti, che non dispongono di meccanismi di protezione”, si tratta soprattutto di un nuovo caso di violenza contro una donna.
Lunedì 29 marzo un centinaio di donne sono scese in piazza a Tulum, manifestando sulla via principale del gioiello turistico del Messico. “Anche qui ci uccidono, anche qui abusano di noi” ha raccontato una ragazza, membro del Colectivo Femenista de Tulum, a El País.
A Ciudad de México scontri con la polizia
È a Ciudad de México, più che altrove, che i collettivi femministi hanno fatto sentire la loro voce. Venerdì 2 aprile, al grido di “Victoria non è morta, è stata uccisa dalla polizia” e “La polizia non mi protegge, lo fanno le mie amiche”, centinaia di donne, molte delle quali a volto coperto, hanno marciato per le strade della capitale, dando voce alla loro frustrazione, alla paura che in Messico attanaglia la metà della popolazione: madri, figlie, sorelle che ogni giorno vengono brutalmente assassinate da bestie che troppo spesso restano impunite.
Partito dal Monumento della Rivoluzione, il corteo si è diretto al Palazzo Nazionale, residenza del Presidente. Qui ci sono stati scontri con la polizia: almeno 30 poliziotte e 2 civili hanno riportato ferite. Nonostante le barriere metalliche a protezione degli edifici, sono stati registrati danni all’arredamento urbano e ad alcune attività commerciali. Le donne in Messico non hanno più tempo, non hanno più pazienza, solo tanta rabbia.
La morte di Victoria, che richiama inevitabilmente alla memoria quella di George Floyd, ucciso il maggio scorso dalla polizia di Minneapolis, Minnesota, dimostra ancora quanto poco vale il diritto alla vita della donna in Messico. Ma questa volta fa ancora più male, perché a prendersi la vita di Victoria è stato chi avrebbe dovuto proteggerla.
Camilla Aldini