Di Francesca de Carolis
Da tempo un po’ complice di Marcello Baraghini, mitico fondatore di Stampa Alternativa che a suo tempo mi ha accolta nella sua banda, ne seguo, per quel che posso, i lavori, sempre fuori dall’ordinario (e meno male che c’è questo editore all’incontrario, come qualcuno lo definì una volta).
Il richiamo che viene subito alla mente è ad altri intrattenimenti che tutti abbiamo amato. Come non pensare a quei dieci giorni di fantastiche narrazioni del Decamerone, mentre fuori infuria la peste. Oppure alle Mille e una notte di Sherazade, un racconto ogni notte per sopravvivere…
E qui, con tutte le differenze del caso, l’incanto si ripete. Tempo di covid, non si può uscire, non ci si può incontrare… come superare questa “notte”? Come, soprattutto, continuare a intrecciare fra noi parole. La modernità ci regala skype, la narrazione passa su quel filo, e su quel filo passa anche la vita, perché quelli che zia Serena regala ai nipotini sono racconti di vita.
“Molti e molti anni fa, quando né voi né i vostri genitori eravate nati…”
Il sapore è quello del “c’era una volta” che tiene inchiodati di là dal video nipoti e pronipoti e come in tutte le narrazioni che si rispettano, molto passa anche attraverso lo stupore. Un viaggio della fine degli anni Sessanta è preistoria per un ragazzino d’oggi: in Volkswagen, con pochi soldi, tende e sacchi a pelo, poche o nulle comodità, senza telefonini né navigatori. Un viaggio lungo il tempo e lungo il Mediterraneo, in un mondo non ancora aggredito dal turismo. Delfi, Istanbul, Efeso, Aleppo, Palmira… tutti nomi che sono pagine di storia ma sui quali si accendono cupe luci delle cronache di questi tempi. E forse anche per questo l’impatto con i giovani ascoltatori è stato forte: cos’era allora quello che ha visto zia, cos’è adesso… Si narra purtroppo anche di quanto non esiste più. Ed è l’incontro fra due mondi che sembrano lontani, e lo sono, nello spazio e nel tempo, ma capita anche che tutto si condensi in un braccialetto che zia Serena comprò in un mercato di quel viaggio lontano e ancora porta al polso. Bella cosa, in un tempo che tutto brucia in fretta…
“Racconta, racconta ancora”, chiedono anche oltre il tempo dell’ora concordata i nipotini, ascoltatori attenti e per nulla passivi.
Per questo, oltre il percorso, comunque ben affascinante, del viaggio, ho pensato che c’è anche un altro modo di seguire questo “ Viaggiare da fermi …”: attraverso le domande dei nipoti, che messe in fila una dietro l’altra sono un piccolo racconto nel racconto, la fotografia di un micro universo di ragazzini curiosi e attenti, che fanno domande per approfondire anche la storia, con belle riflessioni.
La zia parla dell’impero britannico e di quello bizantino e uno di loro: “E qual è la differenza zia? Sempre invasori sono stati… tutti con la guerra e la violenza”. Oppure, alla descrizione del volto della medusa nella cisterna di Istanbul… “forse zia quella cisterna grazie a medusa è il mondo dell’amore sotterraneo”, “forse quella cisterna è un mondo capovolto, che contiene la ricchezza più grande: l’acqua”.
Mi è piaciuta molto la protesta del nipotino Roberto quando la zia narra del tesoro di Priamo, trovato nel sito dell’antica Troia e che ora si trova in Russia: “Ma è ingiusto”! Una protesta che ha il sapore, e lo stupore, di quello che provai anch’io finendo sotto le mura di Babilonia prigioniere della sala di un museo di Berlino. La sensazione di una grande violenza, l’idea di una grande rapina…
Sanno anche rispondere, quei ragazzini, al linguaggio del racconto quando fantastico. E mi chiedo quante fiabe hanno letto o è piaciuto loro ascoltare per scovare immagini che starebbero perfettamente in un racconto delle Mille e una notte…
Un amico, al quale ho parlato di questo incontro fra generazioni attraverso la narrazione, ha commentato:
“Immagino il racconto sia stato accompagnato da video e immagini magari prese da internet. E’ difficile oggi tenere fermi dei ragazzi, legarli alle parole senza immagini, è una generazione che sulle immagini è cresciuta e di queste sembra vivere”.
E invece no, ed è questa per me la più bella sorpresa del libro. Pensate che quando, alla decima giornata, dopo il racconto della visita a Efeso, a un certo punto zia Serena si ferma e dice: “Per oggi i nostri occhi hanno visto cose stupefacenti con l’immaginazione, ma credo che mamma e papà vi faranno vedere al computer…”, ma viene subito interrotta: “No no, zia! Fino alla fine vogliamo seguire solo la tua voce, poi vedremo se ciò che abbiamo sognato con te corrisponde alla realtà. Per ora non vogliamo contaminazioni”.
La prima cosa che ho pensato è… ma che bella, tenerissima abitudine al narrare e all’ascoltare, cresciuta nel tempo, deve esserci nella loro famiglia! Che è cosa non sempre così curata, in questi nostri tempi affannati e distratti. Allora l’invito, forte, che nasce da queste pagine, è a riallacciare quel legame che passa attraverso la narrazione, che è trasmissione particolarissima di conoscenza da una generazione all’altra. Un’abitudine ad alimentare l’interesse per quello che i più grandi hanno da raccontare, della loro vita e del loro tempo. Cosa che serve anche a rinsaldare legami d’affetto, ma che molto, soprattutto, ci aiuterebbe a ritrovarci…