Sono trascorsi 75 anni dalla fine della Grande Guerra Patriottica. In questi anni è cambiata la carta politica del pianeta. Non esiste più l’Unione Sovietica, che aveva ottenuto una vittoria schiacciante sul nazismo salvando tutto il mondo. Gli eventi stessi di quella guerra sono oggi un lontano passato anche per coloro che vi hanno partecipato. Allora perché la Russia festeggia il 9 maggio come la ricorrenza più importante e ogni anno, il 22 giugno, la vita letteralmente si ferma e compare un nodo in gola?
Vladimir Putin la mette sul “nazionalismo nostalgico” e, come solito, gioca bene le sue carte.
Il Presidente russo parla di “responsabilità”, facendo riferimento ai drammi che hanno contraddistinto la cavalcata nazista. Il fulcro della sua argomentazione prende spunto dal passato: Putin cita l’URSS, l’avanzata dell’armata rossa, la tenacia con cui sancì la fine della superpotenza tedesca.
Quasi 27 milioni di cittadini sovietici sono periti sui fronti, prigionieri dei tedeschi, morti di fame o sotto i bombardamenti; nei ghetti e nei forni dei campi di sterminio nazisti. L’URSS ha perso un cittadino su sette.
Ma sono stati gli sforzi di tutti i Paesi e i popoli […] che hanno portato alla vittoria
Putin dimentica di citare i milioni di morti tra le steppe sovietiche, causa il completo disinteresse di Stalin verso i propri cittadini; tali carestie non sembrano rientrare nel discorso autoritario del Presidente, ma immagino questo non sia argomento di discussione.
Al contempo, rincara la dose sull’esigenza di un’unione tra Paesi.
È dovere nostro e dei rappresentanti delle potenze vincitrici assicurare che questo sistema sia mantenuto e migliorato. I nostri colleghi – Xi Jinping, Macron, Trump e Johnson – hanno sostenuto l’iniziativa russa di tenere una riunione dei leader dei cinque Stati dotati di armi nucleari
Torna l’argomento nucleare, citando forse alcuni dei più “famigerati” leader mondiali.
Tralasciamo ora quelle che sarebbero le conseguenze di un nuovo conflitto mondiale a base nucleare; il tema in gioco riguarda, essenzialmente, la rinnovata fiducia nell’energia radioattiva come arma e “asso nella manica”. Una tesi ormai al di fuori di un ragionamento razionale.
Difatti, benché l’argomento nucleare possa ancora garantire una discussione esaustiva sul tema energia, con pro e contro ancora da snocciolare, non fa altrettanto sulla questione bellica; al contrario, un vertice sul nucleare appare assai un azzardo, soprattutto considerati due fattori dominanti: la consapevolezza storico-politica di alcuni esponenti politici e il peso della suddetta corsa agli armamenti.
Sarò sincero con il lettore: non credo che elementi come Trump possano gestire un simile potenziale ed è questa una delle ragioni per cui anche il tema energia diviene, automaticamente, un tabù.
Un vertice sul nucleare non è solo una banale dimostrazione di superiorità e competitività, ma riporta alla memoria vecchie ferite planetarie. Basti pensare al disastro di Černobyl’ o Fukushima.
Errori umani dalle conseguenze spregevoli. Il 2020 ci ha posto nella condizione di conoscere meglio alcune sfumature della politica sovranista e la storia, a suo modo, punzecchia il nostro buon senso. È davvero il caso di parlare di salvaguardia citando i più grandi errori umani della storia?
Eugenio Bianco