Di Paolo Becchi
Ancora tu, ma non dovevamo parlarne più… e invece siamo ancora qui a parlare di legge elettorale, una storia che sembra infinita, e che finirà comunque lasciando l’amaro in bocca a tutti gli italiani ben presi da altri problemi. Eppure dobbiamo pure occuparci anche di questo, e la partita sulla nuova legge elettorale è solo iniziata.
La Prima Repubblica, con il suo solido sistema di partiti di massa, si è retta per diversi decenni su un criterio proporzionale, la seconda, con partiti «personalizzati», per un periodo più breve su un criterio maggioritario.
Poi, dopo il Mattarellum tanta confusione, tanta volontà di leggi fatte apposta per interessi di bottega e per truffare l’elettore e così ci siamo trovati di fronte prima il Porcellum e poi l’Italicum, entrambi sottoposti al giudizio della Corte costituzionale che ne ha rilevato in diversi punti la incostituzionalità. Che dire?
La prima considerazione da fare riguarda la nostra classe dirigente, vecchia e nuova, la sua totale incapacità politica. La legge elettorale nel nostro ordinamento è una legge ordinaria, sia pure la più importante perché stabilisce le regole del gioco. Ma sempre di legge ordinaria si tratta.
Ebbene, i nostri parlamentari sono giunti al punto di farsi dettare la legge elettorale dalla Corte costituzionale, perché le uniche leggi elettorali che hanno saputo partorire erano incostituzionali. Credo che a livello europeo (e forse non solo) sia un caso eccezionale. Sarebbero tutti, senza esclusione, da prendere a legnate. Ora Renzi, dobbiamo dargliene atto, una sua proposta l’ha presentata e insiste su questa, nonostante molte reazione negative e al momento senza i numeri sufficienti per essere approvata al Senato.
Non ha niente a che fare con il proporzionale alla tedesca, ma è un Mattarellum ritoccato (50 per cento uninominale, 50 per cento proporzionale) che mette all’angolo il M5S.
E, in apparenza, lascia aperti i giochi tra centro-sinistra e centro-destra. Nei collegi uninominali, infatti, sono favorite quelle forze politiche capaci di coalizzarsi prima del voto e il M5S rifiuta di fare accordi prima delle elezioni. In ciascun collegio invece centro-sinistra e centro-destra potrebbero convergere su un unico candidato per parte. Insomma, questa proposta ha un obiettivo evidente: quello di indebolire il M5S, costringendo un sistema ormai grosso modo tripolare a due contendenti, eliminandone uno. Non certo il massimo della democrazia, ma il gioco vale la candela? Dipende da cosa si vuole. Al di là di questo obiettivo evidente, ce ne è un altro nascosto che nessuno, a parte Verdini e Renzi, ha ancora capito. Ve lo sveliamo qui.
Facendo un po’ di conti (che qui vi risparmio) né lo schieramento di centro-destra né quello dicentro-sinistra con i numeri attuali avrebbe una maggioranza solida e così per governare dovrebbero farlo insieme, lasciando all’opposizione il M5S, e molto probabilmentela Lega stessa che non potrebbe accettare una «grande coalizione» di questo genere. E questo Salvini, che è disposto a votare la proposta di Renzi, non lo ha capito.
Insomma, Verdini (il vero artefice del piano) ha lavorato con grande scaltrezza ed è uno che con i numeri ci sa fare. Non lo sa che al Senato gli mancano tredici voti per far passare la riforma? Certo che il mago dei numeri lo sa, ma non è affatto detto che non li trovi. In fondo con questo sistema elettorale vengono eliminate dal governo le posizioni estreme, e non è proprio questo il sogno dei moderati a cui si ispira Berlusconi? Verdini tredici voti può trovarli, basta solo far capire a Berlusconi che con questo sistema si può sbarazzare di Salvini e ritornare al governo.
Berlusconi pare non capire che è tutto nel suo interesse seguire la proposta di Renzi e Salvini non si è accorto del «pacco» che gli stanno tirando. Cosa succederà ora? Lo scopriremo solo vivendo…