“Verità e giustizia per Patrick Guarnieri”, sentita e partecipata la manifestazione in memoria del giovane morto in carcere

Patrick Guarnieri 3

Si è svolta sotto una pioggia incessante la Manifestazione Internazionale Contro il Razzismo in memoria di Patrick Guarnieri, il ragazzo romanì di 20 anni con disabilità certificata morto il 13 marzo tra le mura del carcere di Teramo. Sul caso sono in corso le indagini della Magistratura. La manifestazione, intitolata Diritto alla VITA, ha avuto luogo in Piazza Santi Apostoli a Roma e la Presidente del Coordinamento Codice Rosso Adele Di Rocco, che Ultima Voce ha intervistato per analizzare le dinamiche della morte di Patrick, ha comunicato la sua soddisfazione per l’alta partecipazione nonostante il diluvio.

La vicinanza alla famiglia di Patrick Guarnieri, da Sinistra Italiana a Democrazia Cristiana

Uniti dal grido “Diritto alla vita, verità e giustizia per Patrick Guarnieri!“, hanno partecipato alla manifestazione in memoria di Patrick politici, associazioni e cittadini.

In prima linea in piazza Santi Apostoli Giulia Di Rocco, Presidente del Partito Mistipè, il primo partito Rom e Sinti nonché promotore della manifestazione in collaborazione con l’associazione Rom in Progress di Isernia e il Centro Rom di Avezzano. Tra le persone che hanno sostenuto l’iniziativa ci sono politici provenienti da tutte le fazioni: Maria Riccioli, esponente del MEDA (Movimento Europei per i Disabili in Italia); Giulio Cesare Sottanelli per Azione, Giovanni Paolo Dedda per i DCC (Democratici Cristiani al Centro), Sara Ferri di Sinistra Italiana Angelo Sandri, DC.

Il dolore della famiglia Guarnieri e la ricerca della giustizia 

A rappresentare Patrick c’era il papà Gervasio con i figli e fratelli del ragazzo, Adele Di Rocco e il segretario dell’associazione Sbarre Di ZuccheroMarco Costantini. Hanno partecipato all’iniziativa anche il direttore generale dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) Mattia Peradotto, direttamente dal Ministero delle Pari Opportunità.

Sotto la pioggia incessante la famiglia ha ricordato Patrick, un ragazzo allegro e amato da tutte le persone che gli erano accanto. Il fatto che sia morto sotto la tutela dello Stato ha portato all’avvio di un’indagine perché in virtù della sua condizione di disabilità Patrick Guarnieri non doveva essere trasferito in carcere e soprattutto perché i familiari sostengono che ci siano delle incongruenze nel racconto fornito dall’amministrazione carceraria in merito alla morte di Patrick.

Verità e giustizia è tutto quello che hanno chiesto i famigliari di Patrick. La famiglia Guarnieri ha cercato, per tutto il corso della breve vita di Patrick, di migliorare la sua condizione di disabilità e prepararlo a un futuro in autonomia. Il dolore che provano in questo momento non può essere descritto, come ci ha detto Adele quando ci ha raccontato la storia di Patrick Guarnieri “non è una malattia o un incidente, non te ne fai una ragione, sopravvivere alla morte di un figlio non è naturale, chi resta è comunque morto dentro“.

Le morti in carcere nell’indifferenza dell’opinione pubblica: i numeri di una strage silenziosa

Come Patrick Guarnieri, tutte le persone morte sotto la tutela dello Stato avevano una loro vita e degli affetti, che lottano per mantenere viva l’attenzione sulla strage nelle carceri. Il caso più celeberrimo è sicuramente quello di Stefano Cucchi, che è diventato un caso mediatico grazie alla sorella Ilaria, oggi senatrice. Ilaria Cucchi è stata la prima, attuando le norme e rispettando la legislazione e le istituzioni, a ottenere giustizia per suo fratello, dimostrando che la morte lascia delle ferite indelebili alle persone che hanno voluto bene ai detenuti, ma anche che è possibile ottenere giustizia nel rispetto della legge.

Le 4.678 persone morte in detenzione dal 1992 ad oggi non hanno avuto l’attenzione mediatica di Stefano Cucchi e di Patrick Guarnieri, di cui oggi stiamo parlando grazie all’impegno della sua famiglia, ma è comunque un’attenzione conquistata con fatica, tra ostacoli e diffamazioni, alimentando un sistema sbagliato che ha portato già alla morte di 64 persone dall’inizio dell’anno, persone non numeri.

Questo dramma è faticoso da comprendere e la narrazione mediatica non è un’alleata, dato che spesso stigmatizza e declassa le morti avvenute in carcere. Si legge in una nota di Ristretti, l’archivio della Casa di Reclusione di Padova:

«Ritorna quindi la regola della spersonalizzazione del “nemico” e in più i cronisti aggiungono, di propria iniziativa, un giudizio morale sull’accaduto, spesso senza conoscere la storia che c’è dietro: così il suicida si è “arreso“, “non ha retto il peso della propria colpa, e via di questo passo… dunque non solo era cattivo, ma anche codardo!».

Gli spunti di riflessione sulle ingiustizie per quel che concerne il fenomeno sono tanti, ad esempio sono molte le storie di individui morti suicida prima della condanna definitiva o per una condanna per cui si erano sempre dichiarati innocenti, anche a causa di un sovraffollamento carcerario che toglie spazio alla dignità umana e al recupero sociale per lasciarlo alla morte e alle ripercussioni sulla salute mentale dei detenuti. Quindi, mantenere viva l’attenzione sulla condizione delle carceri dovrebbe essere un dovere, perché forse in una società davvero civile le manifestazioni in memoria degli esseri umani morti in carcere non avrebbero nessun motivo di esistere.

 

 

Aurora Colantonio

 

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