Venezia ha recentemente toccato quota 50.000 residenti. Sempre più veneziani fuggono da una città abbandonata al proprio destino di turismo senza freni.
Venezia, capitale del turismo di massa
A Venezia, pochi sono i negozi basici, come panettieri o fruttivendoli. Al loro posto ci sono quelli di souvenir, gioielli di Murano (si fa per dire) e maschere industriali e molte altre “trappole” per turisti. Il costo della vita sull’isola è tendenzialmente alto e questo rende viverci un lusso che pochi si possono permettere, specialmente per i più giovani che finiscono per prediligere la terraferma, anche e soprattutto per la maggiore offerta di lavoro. Venezia è infatti un deserto lavorativo: gli affitti sono troppo alti per gli studi professionali. E anche gli studenti sono in difficoltà, perché sebbene Venezia sia una città universitaria a tutti gli effetti, scegliere di viverci impone loro meno servizi e vita sociale, costi più alti e case in condizioni degradate.
Il problema di base è la concezione diffusa di Venezia come museo a cielo aperto piuttosto che città a tutti gli effetti: per questo, anche tra chi ci lavora, pochi sono quelli che scelgono di viverci. Indubbiamente la laguna ha un fascino inestimabile, ma ciò non basta a coprire la mancanza di servizi essenziali. E questo è uno dei motivi principali per cui la laguna si sta svuotando.
Un altro motivo è l’inquinamento atmosferico. Il turismo crocieristico, da anni nel mirino dell’associazione civile No Grandi Navi, ha contribuito esponenzialmente all’inquinamento così come all’astio degli abitanti verso i turisti che non hanno cura per la loro isola.
Con la pandemia, una speranza
Le navi da crociera contribuiscono inoltre all’innalzamento della marea, di cui abbiamo visto i disastrosi effetti con l’acqua alta del 2019. Tale evento ha evidenziato la fragilità dell’economia basata sul turismo ma anche portato alla luce la tenacia del tessuto sociale veneziano che ha tentato (invano) di porre pezze su enormi voragini che si accumulano da vari decenni di pratiche insostenibili di turismo.
E poi c’è stata la pandemia. Basare la propria economia sul turismo porta ad un equilibrio fragile e precario, che al primo evento inaspettato, può crollare. Così è successo con l’acqua alta del 2019 e soprattutto con la pandemia, che ha portato ad un radicale cambio di scenario nella laguna.
Da calli brulicanti di turisti, negozi e ristoranti aperti fino a tardi, Venezia, da un giorno all’altro, è mutata in un deserto dalle serrande abbassate, animata solo dai pochi residenti o abitanti rimasti. E nei campi e nelle calli vuote, nei canali liberi dalle gondole, a Venezia si è accesa una speranza, perché se è vero che senza turismo Venezia soffre, da vuota Venezia respira e può cercare nuove forme di sostentamento.
Venezia è viva!
Ma il respiro di Venezia è stato molto breve. Con la distensione delle restrizioni anti-Covid e la maggiore libertà che abbiamo avuto grazie ai vaccini, la città è tornata ad essere quella di sempre, se non forse con più turismo “mordi e fuggi”, ossia quello di prossimità che sceglie di non pernottare in laguna.
E così le istituzioni hanno proposto come soluzione l’applicazione di una tassa di ingresso, che renderebbe Venezia un museo a cielo aperto a tutti gli effetti e sancirebbe la morte della Venezia-città e le annesse potenzialità future di basare il proprio sviluppo su altro che non sia il turismo.
Venezia non dovrebbe smettere di essere una città turistica, ma dovrebbe vivere anche di altro. E questo è possibile. Venezia è viva, nel senso che prolifera di comunità che vogliono vivere, ma che per mancanza di investimenti sono costrette a fuggire. Ma la tenacia e la determinazione di alcune associazioni attive sul territorio (come No Grandi Navi, Venice Calls, Venice on Board e molte altre) è dimostrazione del fatto che a Venezia non manca il tessuto sociale, sebbene i residenti siano pochi.
In tali associazioni e sull’isola troviamo giovani veneziani che lottano per la loro città, cercando di preservarne le tradizioni e il futuro dall’oblio del turismo senza freni. Ed è in queste associazioni e comunità locali che bisogna ripartire se si vuole garantire un futuro per Venezia, ripensando agli investimenti delle istituzioni per cercare di salvare una volta per tutte la laguna, prima che sia troppo tardi (se non lo è già).