L’inquinamento da PFAS (per- e polifluoroalchiliche) è diventato una delle più gravi problematiche ambientali e sanitarie in Veneto, una regione in cui l’inquinamento ha avuto effetti devastanti sulla salute della popolazione e sull’ambiente circostante. Le sostanze chimiche sono ormai presenti nel suolo e nelle acque di vaste aree, mettendo a rischio la qualità della vita dei circa 350.000 abitanti di una zona altamente contaminata. Un progetto innovativo dell’Università di Padova mira a ridurre la presenza di questi inquinanti nel terreno, utilizzando il biochar, una forma di carbone vegetale.
PFAS, l’inquinamento che ha cambiato la vita in Veneto
Nel 2013, le autorità italiane hanno scoperto che un grave inquinamento da PFAS riguardava la regione Veneto, dove le falda acquifera e il terreno erano stati contaminati per anni dall’ex stabilimento Miteni di Trissino. Il sito, che produceva sostanze chimiche, è stato identificato come principale fonte di dispersione di queste sostanze tossiche, che si sono infiltrate nel suolo e nelle acque di un ampio territorio.
Il rischio per la salute è elevato, poiché i PFAS sono interferenti endocrini che possono provocare tumori, danni ai testicoli, al seno, alterazioni della fertilità e disfunzioni nei livelli di colesterolo. Inoltre, i PFAS non si degradano facilmente nell’ambiente e tendono ad accumularsi negli organismi viventi, con effetti duraturi e dannosi.
Le analisi di sangue condotte sugli abitanti della zona hanno rivelato livelli di PFAS tra i più alti d’Europa, portando ad un aumento di malattie correlate a queste sostanze chimiche. La contaminazione non riguarda solo la zona immediatamente colpita, ma ha avuto ricadute anche sulla catena alimentare, con frutta e verdura contaminati che, una volta raccolti, vengono consumati dalla popolazione.
La sperimentazione con il biochar per decontaminare il terreno
L’Università di Padova ha deciso di affrontare la problematica con un approccio innovativo, mettendo in pratica una ricerca sperimentale finalizzata a limitare la diffusione di inquinamento da PFAS attraverso le piante. Nel 2022, il team di ricercatori ha avviato uno studio utilizzando l’acqua contaminata proveniente da un pozzo privato a Vicenza, di proprietà di Elisabetta Donadello, un’attivista del gruppo “Mamme NO PFAS”.
Il progetto ha avuto come obiettivo quello di studiare l’assorbimento di PFAS da parte delle piante irrigate con l’acqua contaminata, analizzando i livelli di inquinamento in base alla tipologia di coltivazione. I ricercatori hanno introdotto nel terreno il biochar, un tipo di carbone vegetale che si ottiene dalla pirolisi della biomassa. Questo materiale è stato impiegato per limitare l’assorbimento dei contaminanti da parte delle piante, bloccandoli nel suolo e impedendo che entrassero nella catena alimentare.
L’uso del biochar ha portato a risultati promettenti, mostrando che i contaminanti rimangono nel terreno senza essere assimilati dalle coltivazioni. Questo potrebbe rappresentare un’utile soluzione per contenere l’inquinamento da PFAS e migliorare la qualità del suolo e dell’ambiente.
La contaminazione da PFAS in Europa e le politiche di risposta
Sebbene l’inquinamento da PFAS sia più concentrato in Veneto, il fenomeno ha ormai interessato vaste aree d’Europa, con oltre 17.000 siti contaminati in diversi paesi. L’Unione Europea ha intrapreso diverse azioni politiche per fronteggiare questa minaccia, e a partire dal 1° gennaio 2025 entrerà in vigore una nuova direttiva europea che impone il monitoraggio dei livelli di PFAS nelle acque reflue urbane. Entro il 2026, la direttiva prevede che anche le acque potabili vengano sottoposte a controlli rigorosi per monitorare i livelli di questi contaminanti.
Tuttavia, la Greenpeace e altre organizzazioni hanno espresso preoccupazione riguardo l’approccio adottato dalla Commissione Europea. Giuseppe Ungherese, Responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace, ha dichiarato che i limiti fissati per i PFAS non sono sufficientemente protettivi per la salute umana. Secondo le sue parole, la legislazione europea è stata il risultato di compromessi politici e non garantisce una protezione totale per i cittadini.
Le testimonianze delle mamme NO PFAS
Il movimento “Mamme NO PFAS” rappresenta uno degli esempi più significativi della mobilitazione civica contro l’inquinamento in Veneto. Tra le figure di spicco di questa battaglia c’è Elisabetta Donadello, che, dopo aver scoperto la contaminazione del suo terreno e della sua acqua, ha deciso di fermarsi dal consumare i frutti del suo orto. La sua testimonianza è diventata un simbolo della lotta contro il danno causato dai PFAS, mostrando i gravi effetti della contaminazione.
Le sue preoccupazioni sono state confermate dai risultati delle analisi del sangue, che hanno rivelato livelli estremamente elevati di PFAS in lei e nei suoi figli, i cui valori erano tra i più alti rispetto ai bambini della zona. In seguito, la sua collaborazione con l’Università di Padova ha permesso l’avvio della ricerca sul biochar, dando vita a una sperimentazione che potrebbe contribuire significativamente a ridurre l’inquinamento da PFAS nel suolo.