Il governo ha autorizzato la vendita di Tim al fondo statunitense KKR. Il negoziato è in corso da giugno e l’operazione prevede anche l’acquisto del 20% da parte del ministero dell’Economia. L’acquisto riguarda NetCo, le attività di FiberCop e una partecipazione in Sparkle. L’autorizzazione del governo era necessaria in quanto le telecomunicazioni sono soggette alla normativa sul “golden power”.
L’operazione di vendita di Tim al fondo statunitense KKR
Il governo ha deliberato l’autorizzazione alla vendita di Tim al fondo statunitense KKR, Kohlberg Kravis Roberts e Co. La vendita riguarda parte della rete, cioè il complesso di infrastrutture fisiche e tecniche che consentono ai clienti di chiamare e navigare su internet, per circa 18,8 miliardi di euro. La ricerca di un accordo è iniziata a giugno ed è coinvolto anche il ministero dell’Economia che acquisterà il 20%, che già possiede circa il 10% delle azioni di Tim tramite Cassa Depositi e Prestiti.
Affinché il negoziato si tramutasse in vendita definitiva, l’autorizzazione del governo era necessaria. Questo perché il settore delle telecomunicazioni rientra tra quelli strategici per l’interesse nazionali e, quindi, soggetto alla normativa sul “golden power”. Normativa che limita l’influenza di investitori stranieri su aziende italiane importanti.
Riportiamo quanto si legge in una nota di Palazzo Chigi che autorizza la vendita di Tim al fondo statunitense KKR:
Si prevede un ruolo del governo nella definizione delle scelte strategiche, vengono assicurati tutti i presidi essenziali e garantita la supervisione allo Stato di tutti gli aspetti inerenti la sicurezza, la difesa e la strategicità della rete e dei relativi asset
La decisione di autorizzare la vendita di Tim al fondo statunitense KKR è avvenuta in seguito al controllo degli impegni che le parti hanno assunto, ritenendoli pienamente idonei a garantire la tutela degli interessi strategici. Gli impegni riguardano la creazione dell’organizzazione di sicurezza, la nomina del preposto di cittadinanza italiana, la competenza esclusiva su tutte le questioni incidenti sugli asset strategici, il mantenimento in Italia delle attività di ricerca e manutenzione e il monitoraggio.
La crisi di Tim
La vendita di Tim al fondo statunitense KKR non rappresenta una sorpresa. Infatti, già da diversi anni la società è in crisi e cerca di vendere la rete per ripianare la sua situazione finanziaria. Si conclude così la serie di trattative per vendere la rete della società italiana di telecomunicazioni Tim.
L’azienda Tim è privata solo dal 1997, prima era pubblica e si chiamava Telecom Italia. Venne privatizzata dal governo di Romano Prodi e iniziò ad essere quotata in borsa. Allora valeva circa 90 miliardi di euro, il debito era trascurabile, aveva partecipazioni in moltissimi gruppi tecnologici nel mondo e deteneva più di 120 mila dipendenti.
Tim era una società tecnologica in grado di competere con le più grandi del mondo e nel giro di vent’anni si è trovata a vendere il proprio bene per ripagare i miliardi di euro di debiti. Infatti, oggi ha un debito di oltre 30 miliardi di euro, controlla solo una società al di fuori del suo mercato nazionale e ha un terzo dei dipendenti che aveva prima.
La vendita di Tim al fondo statunitense KKR, quindi, era inevitabile per la società europea di telecomunicazioni più indebitata. Le offerte presentate riguardavano due soggetti: il fondo statunitense KKR e la “cordata” costituita dal fondo australiano Macquarie e da Cassa Depositi e Prestiti. Da giugno Tim ha trattato in esclusiva con il fondo KKR.
L’operazione di vendita di Tim al fondo statunitense KKR prevede l’acquisto di NetCo, le attività di FiberCop, cioè l’azienda che si occupa dello sviluppo e dei collegamenti in fibra ottica, e una partecipazione in Sparkle, la società che gestisce le infrastrutture di rete internazionale di cui Tim è proprietaria.