L’Italia è uno dei paesi la percentuale più alta di anziani. Arzilli vecchietti e vecchiette che spesso fanno ancora una vita attiva, piena, e danno le mele ai più giovani, sedentari e privi di interessi, spesso tendenti verso il suicidio. Per le auto, per fortuna si può fare lo stesso discorso. In oramai tanti anni di foto scattate per le strade di una discreta parte d’Italia, non sono pochi i casi di vetture con 30, 40 primavere sulle spalle che fanno ancora egregiamente il loro lavoro quotidiano, magari guidati da uno degli arzilli vecchietti (o vecchiette, evviva la par condicio) che le comprarono nuove tanti anni prima, quando anche loro erano giovani. Proviamo a vedere quali sono i modelli ancora discretamente diffusi presso le nostre strade. Ovviamente la diffusione attuale ricalca quella dei tempi, quindi le vetture che all’epoca erano più vendute oggi sono sopravvissute in un numero maggiore di esemplari. Ma vedremo non è sempre così.
Ovviamente in cima a questa speciale classifica non può che esserci la Fiat 500, venduta in oltre tre milioni di esemplari dal 1957. Pochi sanno che quando esordì il pubblico la snobbò, considerandola troppo piccola, economica e costosa rispetto alla sorella maggiore 600, che ai tempi era la best seller incontrastata ed oggi è passata alla storia come l’auto che motorizzò gli Italiani. La Fiat corse ai ripari, ribassò il prezzo della vettura (facendo una cosa che oggi avrebbe dell’incredibile: restituì parte dei soldi alle persone che già ne avevano presa una), migliorò le dotazioni sdoppiandola in una serie “economica“ed una “normale” e le vendite decollarono, raggiungendo l’apice con la L del 1968, la versione che oggi, tra esemplari truccati, altri fatiscenti ed altri ancora restaurati al limite della maniacalità, è più facile incontrare per strada. Pare che ce ne siano ancora quasi 400.000 esemplari in circolazione: una percentuale che ha del prodigioso, considerando che quello più giovane ha almeno 41 anni alle spalle: segno che una meccanica semplice, ben collaudata, facile da riparare ed economica da gestire è l’arma vincente per una sicura longevità. Un tempo si teneva conto di ciò nel progettare una vettura. Oggi, tra incentivi, elettronica, moda e bisogno di far soldi il più possibile, è una cosa del tutto dimenticata.
Il secondo modello di questa lista di vecchiette è senza ombra di dubbio il Volkswagen Maggiolino. Ai tempi non compariva di certo in cima alle liste di vendita: non costava poco, non era economico ma aveva una dote che le ha permesso di sopravvivere in un numero elevato di esemplari: una robustezza meccanica fuori dal comune. Il suo motore Boxer, progettato da un certo Ferdinand Porsche, vantava consumi degni di una petroliera e prestazioni degne di una bicicletta in salita guidata da un paralitico, ma proprio in virtù della scarsa potenza in rapporto alla cilindrata generava una gran coppia motrice che gli permetteva di girare a regimi molto bassi e quindi di usurarsi poco, molto poco. Aggiungendo a ciò un’eccellente qualità costruttiva, sia per quanto riguarda la carrozzeria (difficile ma non impossibile farlo arrugginire completamente, come accadeva invece facilmente per le coeve auto italiane) che per gli interni, si può capire perchè oggi si vedono in circolazione ancora tanti Maggiolini e Maggioloni (la variante, introdotta nel 1970, dotata di più moderne sospensioni Mc Pherson, bagagliaio più grande e, dal 1972, parabrezza curvo che garantiva più visibilità e interni più “importanti”) berlina e cabriolet. Per la cronaca la produzione è terminata nel 2003 in Messico, negli stabilimenti VW di Puebla
Il terzo posto del club delle vecchiette arzille è detenuto da due miti francesi: Citroen 2cv e Renault 4. Difficile dire quale prevalga sull’altra, e così si sono beccate l’ex equo. La prima è un altro caso molto particolare: inizialmente non piaceva. Mentre in patria ha sostanzialmente motorizzato tutti i ceti sociali, a partire dai contadini (fu progettata dal geniale Flaminio Bertoni pensando proprio a loro) in Italia non piaceva. Era troppo spartana e contemporaneamente costosa per poter contrastare l’accoppiata-gol 500 e 600. Addirittura quando nel 1967 uscì la Dyane (la sua evoluzione che fu paradossalmente tolta dalla produzione prima della 2cv), addirittura la Citroen decise di sospendere l’importazione della “Deux Chevaux“, soppiantata dal nuovo modello, divenuto nel frattempo uno dei simboli della lotta studentesca del 1968. Nel 1976 tornò in sordina nei listini e il boom arrivò nel 1980 con il lancio della Charleston, una serie che avrebbe dovuto essere limitata e che invece a tutt’oggi è quella ancora circolante in maggior numero di esemplari.
La storia della Renault 4 ricalca più o meno quella della connazionale testè citata. Inizialmente poco apprezzata per la sua eccessiva economia, pian piano fece breccia nel cuore degli italiani, con vendite annue non da record, ma cospicue. Anch’essa fu simbolo del ’68 e tragicamente anche degli anni di piombo (il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato nel bagagliaio di una R4 rossa). Pochi sanno che per un certo periodo fu prodotta e venduta dall’Alfa Romeo, nel vecchio stabilimento di Pomigliano D’Arco (che nulla c’entra con quello, tragico, concepito per costruire l’Alfasud e passato alla storia come la principale causa della crisi economica che fece costringere l’Iri, proprietaria del marchio, a cedere il biscione alla Fiat) per un paio d’anni, dal 1962 al 1964. Ancora oggi è molto facile incontrarla per strada, specie nelle ultime serie, grazie ancora una volta alla grande robustezza della sua semplicissima meccanica. Chissà se le sue eredi riusciranno a replicare le sue gesta, tra 30 anni. I dubbi sono molto forti.
La medaglia di legno di questa improbabile gara di longevità per nobili vecchiette spetta di diritto ad un binomio che costituiva la base della motorizzazione italiana degli anni’70 e in parte 80: Fiat 127 e 126. La 127, erede naturale della 850 (a sua volta nata da una costola della 600, nella fattispecie montanti e tetto), fu la seconda trazione anteriore Fiat dopo la 128. La linea, generata dalla matita geniale dello sfortunato Pio Manzù (morto poco tempo prima che venisse presentata la sua creatura) fece così scuola da essere imitata dai principali concorrenti, Ford e Volkswagen in testa (le prime Fiesta e Polo era davvero cloni della 127) spopolò in pochissimo tempo, grazie alla freschezza delle forme, alla meccanica collaudata e performante (47 cavalli per un 900 non erano pochi, e difatti la 127 volava in accelerazione) ed al prezzo decisamente popolare. Rimase in produzione fino al 1983 subendo tre restyling e visse anche in Brasile, dove ne nacque una costola che rimase in produzione addirittura fino al 1987. Certamente oggi non è diffusa come la 500, ma non è infrequente vederne utilizzate come i somari.
La 126 era la naturale erede della 500, dalla quale prendeva la meccanica e di conseguenza la pressochè totale immortalità. Linea derivata dalla 127, graziosa ma in grado di reggere il confronto con il mito della 500 e ruggine, vera piaga di tutta la produzione italiana dei tempi ed in particolare per i lamierati inferiori della “scatoletta” (come la chiamavano i meccanici), che si sbriciolavano letteralmente, hanno causato la decimazione di parecchi esemplari. Fu prodotta anche in Polonia grazie ad un accordo con la locale Fsm, formalmente motorizzò i polacchi, allora ancora membri dell’Urss e poco avvezzi alla proprietà privata, un lusso. Da noi rimase in produzione fino al 1992, in Polonia addirittura fino al 2000, e paradossalmente sono sopravvissuti molti più esemplari della prime serie che le ultime Bis, che avevano il lusso del portellone posteriore ma anche una meccanica assai fragile, con una tendenza record a cuocere la testata. Un vero caso di rivincita delle vecchiette sulle giovani.
Per concludere questa speciale classifica delle vecchiette che vivono allo stato brado per le strade occorre citare un caso anomalo, di vetture ai tempi non così diffuse soprattutto perchè poco popolari per il prezzo assai elevato, ma con una qualità costruttiva e meccanica così eccezionale da garantirne la sopravvivenza di un grande numero di esemplari. L’esempio più lampante è sicuramente costituito dalla Mercedes W 123, meglio nota in Italia come “Gattone“. Prodotta dal 1976 al 1985, era la tipica vettura del cumenda della cosiddetta “Milano da bere” e poi, una volta divenuta anziana, del vucumprà e del rom. Era costruita per durare, soprattutto nelle versioni diesel, di cui esistono esemplari che hanno superato di gran lunga il milione di Km percorsi. Anche la sua erede W 124 non scherza quanto ad attuale diffusione per le strade.
Ce ne sarebbero tante altre di vecchiette circolanti in un numero abbastanza cospicuo di esemplari, ma servirebbe anche un server dalle capacità pressochè infinite per contenere un articolo di simile portata ed anche una grossa dose di pazienza da parte dei lettori, per cui la finiamo qua. La prossima settimana faremo il percorso contrario: le vetture che erano diffuse in maniera capillare e che oggi risultano totalmente desaparecide.