Gianni Vattimo, celebre filosofo teorizzatore del pensiero debole, nato a Torino il 4 gennaio 1936, oggi compie 84 anni. Grande esponente del postmodernismo europeo, analizza la condizione dell’uomo e della società nel mondo di oggi, a partire dalla seconda metà del XX secolo.
Vattimo si rende conto che la filosofia non può fornire fondamenti certi sull’uomo, Dio, il mondo e i valori.
Ciò è dovuto ai mutamenti storici e sociali causati da una serie di eventi che si sono susseguiti nel corso del Novecento (le guerre mondiali, i campi di concentramento, la bomba atomica, gli squilibri del capitalismo, lo sviluppo tecnologico…).
L’uomo contemporaneo ha perso fiducia nei macro-saperi onnicomprensivi e legittimanti.
Secondo Vattimo, quindi, si è passati da un “pensiero forte” o metafisico, che intende illusoriamente fornire dei valori assoluti, a un pensiero debole o post-metafisico.
La società dei sistemi e delle ideologie forti è ormai tramontata: la nostra società è quella delle strutture deboli.
Il nichilismo debole
Il pensiero debole è una forma di nichilismo. Infatti, l’uomo postmoderno si trova a vivere in un mondo privo di fondamenti, in cui sono ormai crollate tutte le certezze e le verità stabili. Lo stesso Nietzsche aveva profetizzato questa condizione con la “morte di Dio”. Tuttavia, secondo Vattimo, il nichilismo non è un nemico da combattere, bensì l’ultima chance di cui l’uomo dispone. Secondo Vattimo, infatti:
oggi non siamo a disagio perché siamo nichilisti, ma piuttosto perché siamo ancora troppo poco nichilisti, perché non sappiamo vivere fino in fondo l’esperienza della dissoluzione dell’essere.
Per Vattimo oggi siamo ancora affetti da una forma di nostalgia per le totalità perdute. Al contrario, però, l’uomo dovrebbe impegnarsi a saper accogliere questo nichilismo debole. Non bisognerebbe avere rimpianti per le certezze passate e la smania di dover stabilire dei nuovi valori universali. La ragione non è più un elemento centrale. Essa, al contrario, deve depotenziarsi e non rimanere paralizzata di fronte alla perdita di punti di riferimento, di fondamenti certi e destini ultimi.
L’uomo postmoderno
Così Vattimo descrive l’uomo postmoderno:
L’individuo postmoderno è colui che avendo assunto fino in fondo la condizione ‘debole’ dell’essere e dell’esistenza ha imparato a convivere con se stesso e con la propria finitudine (=infondatezza), al di là di ogni residua nostalgia per gli assoluti trascendenti o immanenti della metafisica.
La liberazione dell’uomo da una razionalità unica e stabile rappresenta la fine di un pesante obbligo. L’uomo postmoderno si può finalmente dedicare a quegli aspetti dell’esperienza umana che erano stati calpestati da uno sguardo rigido e totalizzante. Egli è anche capace di guardare al passato con un atteggiamento di pietas. Il legame con la tradizione, infatti, può essere distorto, ma non eliminato del tutto.
Il postmoderno ci dà la possibilità di guardare al futuro come a uno spazio più aperto alla tolleranza, alla libertà e ai rapporti con le altre culture.
La società dei mass-media
Secondo Vattimo, nella società postmoderna un ruolo fondamentale è rivestito dai mass-media. Nelle odierne società tecnologiche, i mass-media propongono una serie di informazioni e interpretazioni, senza che nessuna di esse possa prevalere o soffocare l’altra. Siamo in un mondo ormai privo di ogni verità assoluta e oggettiva. Tuttavia, l’incremento dei mezzi di comunicazione, non rende la società più trasparente, cioè più consapevole di sé. Anzi, il risultato sembra essere opposto. Infatti, l’indebolimento dell’essere, l’ontologia del declino e la superficialità prendono il posto della verità. È in questo apparente caos della società postmoderna, tuttavia, che risiedono le nostre speranze di emancipazione:
Caduta l’idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità “locali” – minoranze etniche, sessuali religiose, culturali o estetiche – che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall’idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti.
La mancanza di trasparenza non è un fenomeno da combattere, bensì una grande rivoluzione che coinvolge ogni aspetto della nostra esistenza, permettendo la liberazione delle minoranze e la creazione di un nuovo stato d’animo, caratterizzato dallo spaesamento, dall’oscillazione e dal gioco.
Il postmoderno: la fine della storia, l’inizio di una nuova era
L’ affermarsi del pluralismo e della società mediatica fa sì che il postmoderno si configuri come “la fine della storia”, che ormai non è più concepita come un corso unitario e progressivo di eventi, ma come un fenomeno complesso e privo di centralità:
La storia non è più un filo conduttore, è invece una quantità di informazioni, di cronache, di televisori che abbiamo in casa, molti televisori in una casa.
La fine della modernità rappresenta l’inizio di una fase nuova, più aperta e attenta a ciò che fino ad oggi la ragione e la storia non sono state in grado di comprendere. Oggi ci troviamo in un mondo democratico, costituito da una pluralità di culture, in una società babelica e spaesata, in cui si mischiano tra loro individui di razze, linguaggi e modi di vivere diversi. Si tratta di una realtà in cui si realizza l’ideale di un soggetto non più subordinato all’autocoscienza logica, ma molteplice e poliedrico. Vattimo, infatti, afferma che nell’era postmoderna:
L’essere non coincide necessariamente con ciò che è stabile, fisso, permanente, ma ha da fare piuttosto con l’evento, il consenso, il dialogo, l’interpretazione.
Ed è proprio il mondo contemporaneo, così complesso e apparentemente caotico, a costituire il miglior fondamento di una società basata sull’emancipazione e la tolleranza. Un mondo più aperto al dialogo e alla differenza, in cui ognuno è libero di poter essere ciò che è, dando vita a una vera e propria umanità al plurale.
Giulia Tommasi