Il simpatico cetaceo con gli occhi da panda rischia di diventare un ricordo lontano, da quando il Governo messicano ha riaperto alla pesca le acque del Santuario dedicato alla vaquita.
Nel mare di Cortez i pochissimi esemplari di vaquita erano protetti dalla pesca sino a qualche giorno fa. Tuttavia, il Governo messicano ha deciso di riaprire l’area di pesca, condannando di fatto la specie alla definitiva estinzione. Una scelta completamente in controtendenza con quanto fatto solo nel settembre 2020, ovvero l’ampliamento del 50% dell’area di tolleranza zero.
La vaquita
Conosciuta anche con il nome di focena del Golfo di California, la vaquita (Phocoena sinus) è una specie endemica delle acque del Messico. Classificata nella famiglia dei Phocoenidae, è un cetaceo dentato di dimensioni ridotte, infatti non supera i 150 cm e i 50 kg di peso. Sua caratteristica principale sono le labbra piuttosto pronunciate, mentre la colorazione, grigio scuro sulla regione superiore e quasi bianca nella porzione inferiore, è comune nei cetacei.
Il corpo snello permette di aumentare il rapporto superficie/volume e quindi di dissipare più facilmente il calore. Infatti, la vaquita vive in acque calde poco profonde, dimostrando anche un’ottima tolleranza agli sbalzi di temperatura: dai 14 °C di gennaio ai 36 °C di agosto. In origine il suo areale di distribuzione interessava tutto il Golfo, tuttavia oggi gli esemplari ancora in vita si concentrano solo nella zona nord-occidentale. Più precisamente, intorno all’arcipelago di Rocas Consag, nella Baia di California e vicino al delta del fiume Colorado.
A differenza dei delfini, le focene non è facile vederle saltare sulla superficie del mare, poiché emergono solo per pochi secondi, giusto il tempo di respirare. In genere, è un animale solitario, che vive in gruppi molto ristretti, sicché gli avvistamenti sono difficili. Infatti, i ricercatori prediligono l’utilizzo dei sonar, in quanto la vaquita emette spesso segnali di eco-localizzazione.
Lista rossa per la vaquita
Da quando è stata introdotta la pesca con le reti nel Golfo, ormai negli anni Quaranta del secolo scorso, la focena non ha più avuto una vita facile. Ogni anno centinaia di esemplari finivano per essere accidentalmente pescati, costringendo alla fine la IUCN a inserire la specie nella lista rossa. Erano gli anni Novanta e già si contavano solo 596 cetacei in totale.
Nel tempo, i tentativi di tutelare la specie sono stati molteplici, ma arginare i trafficanti illegali non è un compito semplice. Infatti, la situazione è progressivamente peggiorata, considerando che nel 2015 si stimavano 97 esemplari e nel 2019 circa 20. Oggi, i ricercatori contano nel Golfo appena 10 vaquitas un numero che, purtroppo, condanna inesorabilmente questo animale all’estinzione.
Il problema totoaba
In realtà, la vaquita ha un basso valore commerciale, infatti non è un animale ambito dai pescatori. Tuttavia, questo simpatico cetaceo ha la sfortuna di condividere l’habitat con il totoaba (Totoaba macdonaldi), un raro pesce marino, la cui vescica natatoria in Cina è considerata una vera prelibatezza.
Dal 1975 anche questa specie è protetta in Messico, poiché la pesca intensiva ne aveva drasticamente ridotto la popolazione. Tuttavia, le organizzazioni illegali hanno continuato a catturarla, visto il suo incredibile valore sul mercato. Secondo l’ong Earth League International, una vescica può costare circa 8 mila euro e, se essiccata e invecchiata di dieci anni, raggiunge addirittura i 70 mila euro al chilo. Purtroppo, in Oriente questo organo è considerato sia una prelibatezza culinaria sia un rimedio della medicina tradizionale cinese.
Dunque le vaquitas, condividendo lo stesso habitat del totoaba, sono vittime delle cosiddette “catture accidentali”. Quando i pescatori tirano su le reti, spesso per i cetacei non c’è più nulla da fare, in quanto sono morti soffocati, non avendo avuto la possibilità di respirare per tempo.
Tuttavia, se non dovessero verificarsi tali condizioni, le autorità prediligeranno una politica di monitoraggio, sorveglianza e deterrenza. Purtroppo, è complice di questa scelta anche la grande difficoltà incontrata dal Messico nell’imporre il divieto di pesca commerciale nel Golfo.
Ambientalisti vs pescatori
Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi scontri nelle acque del Golfo, spesso anche piuttosto violenti. Di conseguenza, il Governo federale ha preferito non mantenere restrizioni severe nei confronti della pesca, probabilmente spaventato dalle notevoli pressioni cui era soggetto. Infatti, i pescatori locali sono molto poveri e non hanno grandi alternative per mantenersi, quindi sono facilmente influenzabili dalle organizzazioni criminali, le quali facilmente li convincono a lavorare per loro.
Insomma, una situazione complessa che, però, al momento sembra darla vinta alla criminalità organizzata con un sostanziale avallo del Governo stesso. Ad oggi, l’ong Sea Sheperd e il Museo de la Ballena di La Paz sono ferme e non possono proseguire con le loro attività in mare in difesa della vaquita, a causa soprattutto di quanto accaduto lo scorso 31 dicembre.
L’epilogo di uno dei più grandi fallimenti di tutti i tempi nel campo della conservazione”.
Queste le parole amareggiate di Andrea Costa, fondatore della Earth league international, la prima agenzia di intelligence per il pianeta. Una constatazione che porta anche il peso degli oltre 100 milioni di dollari spesi dal Governo messicano, americano e dalle ong coinvolte.
Un problema di conservazione e di criminalità
“Oltre a indifferenza e incompetenza, il problema è aver considerato questa cosa come un problema solo di conservazione, e non anche un serissimo problema di crimine internazionale legato ai trafficanti di totoaba.” Una situazione, quest’ultima, spesso troppo sottovalutata, nonostante le notevoli conseguenze per l’ambiente e per la sicurezza del paese. Inoltre, intervenire solo sui danni, ad esempio rimuovendo le reti, non è una soluzione efficace, perché dovrebbe essere complementare alle attività di investigazione sui trafficanti.
Perdita definitiva di una specie animale, così siamo abituati a pensare l’estinzione. I dinosauri, la tigre marsupiale, il mammut e il dodo. Ma l’estinzione è anche qualcosa di più inquietante, è un modo di prendere possesso del Pianeta, di farne terra da saccheggiare, e di trasportarne intere porzioni (umane e animali) dentro schemi di sfruttamento economico moderni.
Fin dalla sua comparsa sulla Terra l’uomo ha imparato subito a servirsi della natura per vivere. Infatti, prima raccoglitore, poi cacciatore e infine architetto, nel corso della storia ha perfezionato tecnica e conoscenza, per scoprire nuovi mezzi con cui modellare il Pianeta secondo i propri intessi.
Un percorso lento, prima, esponenziale, dopo, per arrivare fino ad oggi, che lo vediamo studiare per riparare ai suoi stessi errori del passato. E sembra quasi incredibile che dall’imbarazzo della scelta sia arrivato all’impossibilità di farlo, ormai assuefatto da una lotta contro il tempo per salvare quel che è ancora sopravvissuto.
Protagonista, oggi, di una battaglia continua dove a fare paura non sono più gli errori del passato, ma l’indifferenza del presente.
Carolina Salomoni