“La buona novella” è un concept album di Fabrizio De André dalla tematica, solo in apparenza, molto inusuale. Perché un anarchico come lui avrebbe dovuto parlare del Vangelo?
Perché Fabrizio De André diede vita a “La buona novella”?
Siamo nel 1970. Il produttore Roberto Dané legge i Vangeli Apocrifi e ci vede una bella idea per un disco. Gli consigliano di parlarne al cantautore Fabrizio De André, il quale è alla ricerca di qualcosa di nuovo. Quella proposta da Dané é l’idea giusta.
Dopo un anno di lavoro, De André dà vita a “La buona novella” , pubblicato il 1° novembre 1970.
Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente (…) considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo?”
I personaggi religiosi che lui presenta sono, però, umani in tutto e per tutto. Per De André non c’è differenza fra Maria di Nazareth e Bocca di Rosa, perché entrambe umane, entrambe in grado di amare e soffrire.
Gesù, anarchico prima del ’68
Il ruolo di Gesù è quello di un rivoluzionario che cerca di cambiare il sistema e di aiutare i più deboli. Gesù rappresenta la volontà di lottare per gli altri, di amare il prossimo senza rancore, di fare il possibile per un mondo diverso. Le buone intenzioni di Gesù e il suo desiderio di rompere gli schemi sociali non sono molto diversi da quelli degli studenti del Sessantotto.
De André, con “La buona novella”, ribadisce quindi il suo pensiero anarchico e pacifista.
La Buona Novella (…) era una allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali.
Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi.
Una storia ciclica, secondo De André
“La buona novella” è diviso in 10 tracce, che partono dall’infanzia di Maria fino alla morte di Cristo.
Il disco ha struttura ciclica: comincia con “Laudate Dominum” e termina con “Laudate hominem”.
Se nell’introduzione De André parla del lato divino di Cristo, nella conclusione si loda Cristo perché figlio di un altro uomo, umano e per questo incredibile nel suo senso di sacrificio.
L’umanità dei vangeli secondo Fabrizio De André
I brani sono ispirati ai Vangeli Apocrifi, in particolare il Vangelo arabo dell’infanzia e il Protovangelo di Giacomo.
La storia comincia con “L’infanzia di Maria”, che da bambina viene offerta dai genitori ad un tempio. Lì passa un’infanzia segregata, con l’unica compagnia di un angelo. Quando Maria ha le prime mestruazioni, accusata di essere impura viene scacciata dal tempio e data in sposa con un sorteggio. Partecipa, seppur a malincuore, anche Giuseppe il falegname. È lui a “vincere” la sposa bambina. Giuseppe le offre la sua dimora, che lascia per lavorare per quattro anni lontano da casa.
Passa del tempo. Ormai adulta, Maria sogna un angelo, forse lo stesso della sua infanzia, che la seduce. Maria resta, così, incinta del figlio di Dio.
E lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.
Giuseppe torna dal viaggio di lavoro e porta con sé una bambola per Maria, cui vuole donare l’infanzia che ha perduto. Al posto della bimba trova, però, una donna profondamente cambiata, una futura madre. Crede però al suo racconto, nonostante sia così assurdo.
Dalla bottega di Giuseppe ci spostiamo a quella di un altro falegname, che costruisce la croce per Gesù. Faber, infatti, ci presenta solo l’inizio e la fine della storia: ed è la fine, per De André, ad essere ingiusta.
È nella canzone “Via della Croce” che De André lascia andare l’anarchico che è in lui.
La morte di Gesù è raccontata da tre punti di vista: quello del Messia, in “Via della Croce”; quello di Maria e delle madri dei ladroni, in “Tre madri”; quello di Tito, uno dei due ladroni.
“Il testamento di Tito” è la confessione di un ladro qualunque. Prendendo come spunto i dieci comandamenti della tradizione ebraica, Tito ripercorre la sua vita, cercando di districarne i fili e di giustificarne le azioni. Capisce perché la sua vita è arrivata a quel momento: per conoscere la persona che muore accanto a lui, Gesù. È con lui che si rende conto di cosa siano l’amore e la pietà e di come si possa soffrire senza rancore. Tito è la rappresentazione dell’essere umano in tutti i suoi peccati e in tutti i suoi difetti, ma non per questo privo di umanità e di profondità.
Io nel vedere quest’uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l’amore.
Giulia Terralavoro