Valle del Sacco, una storia di inquinamento

Decenni di inquinamento industriale, sversamenti illegali e pratiche discutibili di smaltimento dei rifiuti a due passi da Roma

Valle del Sacco, una storia di inquinamento

La Valle del Sacco è un vasto territorio situato tra le province di Roma e Frosinone, caratterizzato da enormi ferite ambientali e contaminazioni che hanno profondamente intaccato il suo tessuto sociale, ecologico e sanitario. Si tratta di uno dei luoghi più inquinati non solo in Italia, ma forse anche in Europa.

Le cause di questa grave situazione risalgono a decenni di inquinamento industriale, pratiche discutibili di smaltimento dei rifiuti, una burocrazia lenta e inefficace, sversamenti illegali nei corsi d’acqua e l’abbandono di rifiuti tossici nel terreno. Le fabbriche, una volta fulcro dell’economia locale, si trovano ora chiuse, con proprietari coinvolti in indagini giudiziarie, lasciando alle spalle un’eredità di degrado e abbandono per le comunità che ancora risiedono nei pressi del fiume Sacco.

Nel 2015, il Ministero dell’Ambiente ha incluso la Valle del Sacco tra i siti di interesse nazionale (Sin), riconoscendo l’urgente necessità di affrontare le criticità ambientali presenti in questa zona. L’area coinvolge 19 comuni, sparsi tra le province di Roma e di Frosinone, tutti alle prese con problemi che vanno dalla contaminazione delle acque superficiali da sostanze organiche persistenti, come il beta-esaclorocicloesano (β-HCH), all’inquinamento da arsenico, fitofarmaci e metalli pesanti.

L’inquinamento atmosferico è un’altra grave problematica, causata principalmente dalla concentrazione di numerosi impianti industriali, dall’uso indiscriminato di biomasse, come legna e pellet per il riscaldamento domestico, e dalla presenza dell’autostrada che attraversa l’intero territorio.

Le conseguenze di queste criticità non riguardano solamente l’ambiente, ma impattano direttamente sulla salute e sul benessere delle persone che abitano in queste zone. La presenza di agenti inquinanti nell’aria e nell’acqua rappresenta una minaccia costante per la salute pubblica, aumentando il rischio di malattie respiratorie, disturbi neurologici e patologie legate all’esposizione a sostanze tossiche.

Decenni di inquinamento

Quella della Valle del Sacco è una storia lunga, iniziata più di 60 anni fa quando, agli inizi del ‘900 l’area è stata sede di un’importante attività industriale per la produzione di sostanze chimiche, esplosivi, carrozze ferroviarie, motori di lancio. Il primo sviluppo industriale si concentrò su due distinte aree: a nord della Valle, attorno alle campagne di Anagni – Segni, dove negli anni’30 nacque l’agglomerato industriale di Colleferro e più a sud, a ridosso del Comune di Ceccano. I due poli vennero a convergere nel ’36, quando l’industria bellica Bomprini Parodi Delfino (BPD) di Colleferro iniziò alcuni piani di ampliamento che andarono ad interessare l’area agricola e il patrimonio forestale del comune di Ceccano.

Al termine del conflitto mondiale, fu avviata un’opera di riconversione produttiva, con gli stabilimenti BPD che potenziarono i loro collegamenti sia con il settore industriale, intensificando la produzione di anidride ftalica e resine di poliestere, sia con quello agricolo, mediante la produzione di antiparassitari e insetticidi. Quest’ultima direzione ha portato alla creazione della “Divisione prodotti chimici”, dedicata esclusivamente a fornire prodotti per l’industria agro-alimentare, come l’esaclorocicloesano (principale causa della crisi ambientale della Valle del Sacco), il lindano e gli esteri fosforici, l’ossicloruro di rame.




Nel 1990, all’interno del perimetro industriale della BPD vennero individuate tre discariche di rifiuti industriali. Un successivo studio sulla mortalità negli addetti ai lavori di Colleferro aveva evidenziato un eccesso di tumori polmonari. L’anno dopo, la Procura di Velletri condusse una perizia tecnica sulle sostanze presenti nelle acque e nel terreno delle tre discariche rilevando una importante presenza di metalli pesanti e pesticidi. Nel ’94 due pozzi destinati all’approvvigionamento dell’acqua potabile gestiti dal Consorzio servizi acque potabili della Snia BPD risultarono inquinate da trielina.

Dal 1997 fino ad oggi si sono susseguite analisi e studi epidemiologici non solo a Colleferro ma in tutto il territorio della Valle del Sacco.

Nel 2001 la società Caffaro SPA dichiarò la presenza di isomeri di esaclorocicloesano in concentrazioni molto alte fino a 4 metri di profondità nel proprio terreno. Ma la questione diventò particolarmente grave nel 2005, quando un’indagine su un campione di latte crudo proveniente da un’azienda del luogo rivelò livelli di beta-esaclorocicloesano circa 20 volte superiore ai livelli limite. Da quel momento fu dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco, che diventò zona SIN e fu pianificato un biomonitoraggio per la contaminazione da beta-esaclorocicloesano.

Nel 2010 la zona SIN venne estesa anche ad altri comuni della Valle, principalmente nella provincia di Frosinone. Lo stato di emergenza della zona fu più volte prorogato. Nel 2016, in occasione della riperimetrazione del SIN, furono inclusi 19 comuni, per un totale di 200.000 residenti, su una superficie di circa 7mila ettari, articolati lungo il fiume Sacco per almeno 50 chilometri.

Nel 2019 venne approvato l’accordo per la “realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica del Sito di interesse nazionale Bacino del fiume Sacco” stipulato tra il Ministero dell’Ambiente e la Regione Lazio.

La questione ambientale

Oltre all’attività di monitoraggio ambientale e agli interventi di bonifica, è stato affidato al Dipartimento dei epidemiologia (DEP) del Lazio il “Programma di valutazione epidemiologica della popolazione residente nel SIN Valle del Sacco” per valutare i tassi di mortalità, ospedalizzazione, prescrizioni farmaceutiche, certificati di assistenza al parto e quindi sviluppare mappe di esposizione rispetto all’effetto nocivo dell’inquinamento sulla salute.

La diffusione di sostanze come insetticidi, antiparassitari e residui chimici di varia origine sui prodotti agricoli e nell’organismo degli animali ha avuto un impatto significativo sulla popolazione. Questo fenomeno è stato principalmente causato dall’introduzione nella catena alimentare di sostanze altamente dannose, come il β-HCH, che è presente nel lindano (di cui l’utilizzo è stato vietato nel 2001), un potente insetticida utilizzato a partire dagli anni ’50 per trattare sementi, suoli, alberi da frutta e legname, nonché per scopi antiparassitari negli animali domestici e d’allevamento, e in alcuni prodotti farmaceutici come lozioni, creme e shampoo. Il β-HCH, presente nel lindano, è noto per la sua elevata resistenza alla degradazione e per la sua persistenza nell’ambiente, con tendenza ad accumularsi nelle piante e nei tessuti biologici.

Le principali questioni ambientali includono anche la presenza di solventi clorurati nelle acque sotterranee, oltre alla presenza di metalli pesanti e metalloidi nel suolo e nelle acque.

Ma ad affliggere il territorio della Valle del Sacco è anche la qualità dell’aria, motivo per cui la provincia di Frosinone è tornata recentemente sulle cronache quotidiane a seguito della pubblicazione del report di Legambiente “Mal’Aria di città 2024” sugli sforamenti dei limiti giornalieri di PM10, per cui Frosinone, con ben 70 giorni di sforamenti, risulta la prima in classifica.

Il report ha analizzato i dati del 2023 sui livelli di polveri sottili (PM10, PM2.5) e del biossido di azoto (NO2).

Già il progetto INDACO, svolto in collaborazione con la ASL Roma 5 e con quella di Frosinone e coordinato dal DEP Lazio, è nato proprio per indagare lo stato di salute della popolazione residente nei 19 comuni del SIN. Lo studio “Coorte dei residenti”, svolto tra il 2007 e il 2018, “conferma un effetto dell’esposizione ad inquinanti atmosferici in particolare su esiti respiratori e tumorali”, evidenziando come la Valle del Sacco fosse una delle aree della regione, insieme al Comune di Roma, che presentava le maggiori criticità, costantemente riportate anche dai dati di ARPA Lazio.

La questione dei rifiuti

Emissioni industriali, autostrada, conformazione geografica del territorio giocano un ruolo importante nel trattenere gli inquinanti e di conseguenza sulla salute della popolazione. A ciò bisogna aggiungere la gestione dei rifiuti, i cui studi epidemiologici, come sostiene lo stesso DEP Lazio, vengono spesso utilizzati in modo strumentale per portare avanti tesi diverse, dal momento che il settore è al centro di forti controversie e interessi economici. Dopo la fine dell’epoca industriale della zona e il conseguente spopolamento, nella Valle del Sacco si sarebbe potuto intervenire con processi mirati allo sviluppo e alla sostenibilità, ma si è preferito investire sui rifiuti. Discariche e inceneritori, nei primi anni duemila, funzionavano a pieno ritmo finché non si venne a scoprire della contaminazione da beta-esaclorocicloesano.

Inoltre, gli impianti di trattamento dei rifiuti sono localizzati in un contesto geografico e ambientale particolarmente complesso, in prossimità di centri urbani e industriali, complicando ulteriormente la valutazione del reale contributo di questi impianti sulla qualità dell’aria, del suolo o delle acque e di conseguenza, dei possibili effetti sanitari sulla popolazione interessata.

Il tema dei rifiuti preoccupa principalmente la cittadinanza che abita quei territori, soprattutto dopo diverse pubblicazioni scientifiche come quella del dott. Luigi Montano del 2021, con la partecipazione dell’ASL di Salerno, l’Istituto Superiore di Sanità, le Università di Brescia, Milano, Napoli Federico II, il CNR e l’ENEA, sull’infertilità maschile, evidenziando l’esistenza di rilevanti rischi riproduttivi nella popolazione giovane sana della Valle del Sacco, persino peggiori di quelli riscontrati nella Terra dei Fuochi. Per non parlare poi degli eccessi di casi di mortalità e ospedalizzazioni e l’aumento dell’incidenza di tumori nei 0-19 anni.

Il Coordinamento del Comitato NO Biodigestori a Frosinone -Valle del Sacco e l’associazione RETUVASA contestano, oltre la realizzazione del Biodigestore che dovrebbe sorgere a Frosinone, la mancanza di presentazione dei risultati del Progetto INDACO, finanziato per una spesa complessiva di 53 milioni di euro e che avrebbe dovuto concludersi nel 2023.

“Le associazioni ed i cittadini della Valle del Sacco sono da alcuni mesi riuniti in assemblea permanente, in modo itinerante nei diversi comuni del Sito di Interesse Nazionale (SIN) ‘Bacino del fiume Sacco’, allo scopo di condividere gli elementi di conoscenza in merito alle attività previste dall’ Accordo di Programma Quadro del marzo 2019, avendo constatato la mancanza di una informazione completa e comprensibile alla cittadinanza su una parte importante di queste attività, in particolare quelle di caratterizzazione delle aree agricole e ripariali, dei siti prioritari e delle aree industriali”, così inizia la lettera che hanno inviato a dicembre 2023 al Ministero dell’Ambiente, alla Regione Lazio, alle Prefetture di Roma e Frosinone e alla Provincia di Frosinone.

Affrontare e risolvere la questione dell’inquinamento nella Valle del Sacco richiede un impegno congiunto da parte delle autorità locali, regionali e nazionali, insieme alla collaborazione delle comunità locali e delle imprese presenti nella zona. Anche perché sono diverse le criticità ambientali che ancora oggi caratterizzano la zona. È necessario quindi adottare misure urgenti per bonificare i siti contaminati, promuovere pratiche di produzione e consumo sostenibili e vigilare affinché le normative ambientali siano rispettate in modo rigoroso. È necessario anche tornare a puntare sulle occasioni di investimento, sviluppo e sulle opportunità occupazionali, dal momento che si parla di un territorio segnato dall’abbandono industriale in cui la burocrazia e la mancanza delle istituzioni hanno giocato un ruolo cruciale.

Aurora Compagnone

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