L’insostenibile vacuità del femminismo di Renzi

Mi dichiaro femminista – o comunque nel mio quotidiano tento sempre di essere tale. Questo mi permettere di riconoscere uomini che si dichiarano tali, ma per altri motivi. Per fare colpo, per sentirsi a posto con la propria coscienza o semplicemente per fingersi progressisti. E forse Matteo Renzi è uno di loro.

Che l’ex segretario del Pd, creatore del famoso “stai sereno”, Matteo Renzi, abbia annunciato il suo addio al partito e fondato il neo partito Italia Viva è cosa assai nota. Ma tutto mi sarei aspettata tranne che lo fondasse su basi femministe. Le donne sono fondamentali nella società e dobbiamo coinvolgerle di più in politica. Saremo il partito più femminista della storia italiana e saremo di esempio anche per gli altri partiti”, ha dichiarato più volte. Peccato che il femminismo (ritrovato) di Renzi sia arrivato leggermente in ritardo. Esistono già tre partito con leader donne, Possibile con Beatrice Brignone, Potere al Popolo con Viola Carofalo e Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni.

La risposta di Giorgia Meloni non si è fatta attendere: un partito fondato e guidato da un uomo, che sceglie e nomina le donne non può essere femminista. E se Matteo Renzi ha bisogno di prendere lezioni di femminismo dalla Meloni, si intuisce che il progetto non convince. Questo risulta inevitabile se, con un rapido flashback, ripercorriamo le tappe femministe durante il suo governo.

Al primo posto troviamo l’infausto “Fertility Day”, che da giornata dedicata alla sensibilizzazione sul tema della fertilità e sul rischio della denatalità, si è trasformata in una campagna in cui maternità equivale a dovere. Va bene, il premier poi si dichiarò estraneo all’iniziativa, ma la Ministra Lorenzin, che firmava la campagna pubblicitaria, l’aveva nominata proprio lui. Nel 2017 Matteo Renzi ci ha deliziato con un’altra lezione di femminismo. Durante l’assemblea nazionale riassunse le priorità del PD in “lavoro, casa e mamme”. Durante il suo governo, i dipartimenti furono sì equamente divisi tra i due sessi, ma eliminò il dicastero delle pari opportunità.




“La politica di Renzi è sempre stata molto poco femminista”, fa notare Giuseppe Civati, che dal PD si è staccato nel 2015 per fondare Possibile. “Questa mossa ci dice che non è tanto di moda Renzi, quanto il femminismo. Anche il fatto che sia lui a nominare una leader – cioè Teresa Bellanova, presidente di Italia Viva – la dice lunga. Sappiamo tutti che il leader di Renzi è Renzi”.

Ma l’uguaglianza formale delle quote o delle donne al potere, si traduce in vera inclusione delle donne nei processi decisionali? Se Renzi si proclama portavoce del femminismo, non basta avere metà delle donne nel suo organico. Non basta fare politica con le donne, ma per le donne. Inoltre il femminismo non è un’ideologia campata per aria e lontana dalle esigenze delle donne. In realtà, il femminismo riguarda la politica di genere o le condizioni materiali che sono segnate ancora da una grande differenza: il gap salariale, il mercato occupazionale, l’accesso ai diritti riproduttivi. Di certo, un maschio che ci spiega ciò che è femminista e cosa non lo è non è necessario.

L’impressione è che il femminismo di Renzi non sia cambiato molto rispetto a cinque anni fa. Lo dimostra anche il fatto che la prima proposta del neo partito Italia Viva sia il Family Act. Come lo dimostra da quanto dichiarato nelle molteplici interviste, dove il compito della donna viene circoscritto in due ruoli: mamme e figlie. Donne che ricoprono un ruolo in quanto partecipi di un nucleo e che comunque dipendono comunque da un uomo. Quindi grazie comunque Matteo Renzi, ma del tuo femminismo ne facciamo proprio a meno. 

Serena Fenni
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