La pandemia da Covid-19 continua a non lasciare tregua e protagonista della nuova ondata è il continente africano che, senza troppe sorprese, si trova in difficoltà per incremento di contagi, mancanza di vaccini e risorse.
Il neocolonialismo medico
La distribuzione dei vaccini in Africa ha riportato alla luce dinamiche neocoloniali dove i Paesi in via di sviluppo sono esclusi dal tavolo dei “grandi” che nel distribuire i vaccini lasciano loro soltanto le briciole. E parlare di colonialismo non è un’esagerazione: si pensi allo svantaggio economico dei Paesi africani, costretti a soccombere sotto l’influenza dei potenti che dominano la scena globale.
Ma il colonialismo medico dei giorni nostri è visibile anche dalla qualità dei vaccini ricevuti in Africa: se Pfizer e Moderna faticano a rispettare le consegne, a colmare il vuoto ci pensano Johnson & Johnson e AstraZeneca che, tuttavia, in termini di sicurezza e copertura, non si possono definire alternative ambivalenti.
E dietro alle stime della rivista scientifica BMJ Global Health – che riportano l’’1,6% di popolazione completamente vaccinata nel continente africano – si nasconde una riluttanza – comprensibile – della popolazione nel somministrarsi tali vaccini, che anche nei Paesi più sviluppati hanno causato scetticismo e preoccupazione.
Una questione (anche) geopolitica
Un attore fondamentale nella distribuzione dei vaccini in Africa è la Cina, il cui presidente Xi Jinping ha annunciato lo scorso novembre la donazione di un miliardo di vaccini Sinopharm e Sinovac. La mossa cinese deriva da una strategia geopolitica: portare aiuto dove i giganti occidentali non arrivano e, di conseguenza, espandere contatti e creare alleanze. Ma il problema resta. I vaccini cinesi hanno una protezione di circa il 50% dal contagio e recenti studi mostrano che potrebbero non essere abbastanza efficaci contro la variante Omicron.
Gli Stati africani durante la pandemia sono stati trattati più da asset geopolitico che attore bisognoso di risorse, infrastrutture e finanziamenti. La pandemia non ha fatto altro che peggiorare un trend già esistente e che vede l’abolizione della povertà come obiettivo dell’Agenda 2030 ancora più irraggiungibile.
Se dunque la Cina ha mostrato un fervido interesse per le vaccinazioni nel continente africano, d’altra parte gli Stati occidentali hanno agito su un fronte pressoché opposto. Fa scalpore infatti il “no” di Germania e Stati Uniti – che ospitano le sedi delle case farmaceutiche – alla richiesta dell’OMS e di circa ottanta paesi guidati da Sudafrica e India di liberalizzazione dei brevetti sui vaccini, il che consisterebbe di istituire sedi di produzione locale e dunque incrementare la quantità dei vaccini disponibili per i Paesi in via di sviluppo.
Vaccini o varianti
Il respingimento di tale richiesta non va che a confermare la tesi secondo cui la pandemia non abbia che contribuito al rafforzamento di politiche neocoloniali.
I “Grandi”, però, starebbero commettendo un passo falso, soprattutto ora che quello che molti epidemiologici avevano preannunciato: una mancata copertura globale rende la comparsa di altre varianti del virus molto più probabile. Ed è così che ci troviamo ora alle prese con la variante Omicron.
Il continente africano necessita dunque di aiuti ingenti per poter continuare la campagna vaccinale con successo. C’è bisogno di una strategia solida di distribuzione, identificando le categorie a cui dare priorità. Ma in primis c’è bisogno di vaccini. Le disuguaglianze nell’arena globale sono ancor più evidenti quando in Occidente c’è chi si prepara alla terza dose, mentre in Africa somministrarne una seconda ad almeno il 10% della popolazione è considerato un obiettivo notevole – raggiunto al momento solo da 14 Paesi.
Rispondere all’esigenze dei Paesi africani non dev’essere in conseguenza a strategie geopolitiche, ma dovrebbe trattarsi di un obbligo morale che giovi non solo ai diretti interessati, ma all’intera arena globale che da quasi due anni convive con la pandemia e i suoi disastrosi effetti.