Di Federico Feliziani
Ci sono notizie che vanno commentate solo con un unico registro: quello dell’ottimismo. Le immagini dei furgoni carichi di vaccini anti Covid rappresentano la luce in fondo a un tunnel buio e pieno di insidie.
Adesso lo possiamo tirare quel fiato rimasto sospeso per quasi un anno. Abbiamo la soluzione.
Probabilmente per la mia generazione sono scene inedite e per questo indimenticabili. I vaccini li diamo per scontati, non abbiamo mai assistito alla loro spasmodica ricerca e alla loro meravigliosa scoperta. Non abbiamo mai assistito a una pandemia che prima rapisce e poi ammazza senza chiedere neanche l’ultimo desiderio.
La chiamano “guerra”, dicono per semplicità. In realtà però non ha nulla a che fare con la guerra. La guerra non separa: si combatte potendo stare fisicamente vicini. Il Covid è una malattia, non una guerra. Ecco perché in questo preciso istante, prima di scegliere la definizione per questo momento, dobbiamo riflettere. Non vorrei che stessimo per scrivere a titoli cubitali “Liberazione”. Prestiamoci attenzione. Per il nostro Paese il concetto di Liberazione ha un unico e inequivocabile significato: storico e politico, ma uno e uno solo.
Noi non siamo difronte a una liberazione. Siamo al cospetto della soluzione. Un rimedio a un problema. Le parole sono importanti.
Se è vero che stiamo ammirando la soluzione con i nostri occhi dobbiamo contemporaneamente metterci d’accordo. Ci vaccineremo tutti senza mettere in mezzo l’ideologia. Con i dovuti tempi e le precauzioni necessarie: ma ci vaccineremo tutti. Almeno tutti coloro che possono sopportare un vaccino.
Il governo ha scelto di non puntare sull’obbligatorietà ma sulla persuasione. Questa scelta non deve essere però una scusa per non occuparsi di chi dirà “Io no, Io non ci credo”. Non è questo il fine della persuasione. La sfida è proprio convincere attraverso le parole e le azioni positive. E allora dobbiamo metterci d’accordo su un secondo punto: tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche, leader politici, personaggi pubblici e opinionisti dovranno vaccinarsi.
A parte l’apparenza rappresentata dalla primula, è su questo che si deciderà l’efficacia o meno della campagna vaccinale. Siamo tutti coinvolti ma chi è noto lo è di più. Stavolta non ci si potrà nascondere dietro alla libertà di coscienza, non varrà: non potrà valere. Difronte al vaccino chi può dovrà dare il buon esempio senza se e senza ma. Diamo un senso sociale ai selfie. Mettiamo la notorietà a servizio di una causa mondiale.
La politica ha scelto di suddividere la responsabilità. Ora prendiamocela questa responsabilità. Facciamo tutto quello che possiamo per costruire una volta per tutte fiducia in chi ha l’esperienza per salvarci la vita.