Hugo nelle sue opere supera gli schemi artistici tradizionali dell’epoca in cui vive e si afferma professionalmente. Nei suoi scritti pone attenzione al comportamento dei personaggi che compiono “scelte di vita” e danno risposte accurate a problemi contingenti. Dalla “finzione artistica” traspare il”carattere del vero”
“L’ultimo giorno di un condannato a morte” è un “documento umano” non solo per la storia narrata ma anche per l’analisi psicologica dell’unico protagonista. Hugo sembra fondersi e confondersi con il destino del condannato a morte. Le pulsioni emotive ,il modo di vedere il mondo e la realtà che lo circonda sono alla base del romanzo. Egli, già nel lontano 1829, si scaglia contro la pena di morte e lo fa in modo pungente, insinuando il tarlo del dubbio nei suoi lettori. Nella prefatio c’è la presentazione e l’analisi dei salotti borghesi che, con dialoghi concitati, denigrano il romanzo etichettandolo come un’opera aberrante e indegna dell’attenzione pubblica. Il pathos , il magone dell’attesa per l’imminente esecuzione fanno da guida e da filone conduttore durante tutta l’evoluzione della storia.
Il finale è scontato però difficile da raggiungere perché dentro al romanzo si dischiudono, come petali di un fiore, storie su storie.
I personaggi secondari sono per lo più gretti e insensibili, apatici, quasi inutili, come il prete che non riesce a dargli l’ultimo conforto perché ormai per abitudine si è assuefatto all’ evento.
Il guardiano che si reputa sfortunato e che vuole dei numeri da giocare al lotto, dopo la sua morte, quando gli apparirà nelle vesti di fantasma.
E ancora, il conducente della carrozza che perde il tabacco e impreca contro il Cielo.
Il condannato si lascia circondare sempre da un barlume di speranza, nel guardare i raggi del sole che fanno capolino tra le grate della prigione, nell ’agognare la grazia o nel riporre tutte le sue speranze nel ricordo di sua figlia Marie, piccina di tre anni.
Queste speranze s’infrangono come onde contro gli scogli quando lei venuta a fargli visita non lo riconosce , come padre, e lo chiama “signore”.
Il distacco, l’amarezza per questo “ingenuo rifiuto”lo incattivisce e allora si reputa pronto ad abbracciare la morte.
Il condannato è un uomo giovane di quarant’anni, di origine borghese che va a saziare la sete di sangue della folla che si è assiepata in piazza, pronta ad assistere a uno spettacolo tanto gratuito quanto raccapricciante.