Utopie minimaliste di Luca Zoja, edito da Chiarelettere, è un saggio denso di riferimenti storici, politici, sociali, che intende porre l’attenzione sugli errori da non ripetere per raggiungere quell’utopia minimalista di una società più desiderabile
La formazione policroma di Zoja
Luca Zoja ha una formazione polimorfa che viene fuori dalle prime righe di Utopie minimaliste. Terminati gli studi in economia, si avvicina alla sociologia che abbandona, poi, per dedicarsi alla psicanalisi. Emigra a Zurigo nel 1968, anno di ferventi mutamenti sociali. Qui, continua la sua formazione al C.G. Jung Institut, per poi tornare a Milano.
I suoi campi di studio sono tutti presenti e palesi in questo saggio che non ha un intento divulgativo quanto, piuttosto, riflessivo. La scrittura di Zoja non risulta scorrevole come quella di Bauman o Fromm, con i quali si possono fare paragoni a più riprese, ma rimane fruibile.
Nelle sue pagine, infatti, i temi trattati sono già conosciuti e sviscerati dai più famosi sociologi e filosofi contemporanei. Ma Zoja fa un passo in più e, in quella che sembra a tutti gli effetti una critica sociale, pone la questione su diversi piani, mischiando le sue competenze economiche, sociologiche e psicanalitiche. Quest’ultimo ambito è quello, forse, a risaltare maggiormente quando cerca di conferire identità e background non solo alle generazioni di cui parla, ma a queste utopie minimaliste cui siamo indirizzati.
Nel suo excursus si mostra esaustivo e preparato nelle questioni economiche inserite in un quadro sociale più ampio. Soprattutto i protagonisti del saggio, la storia e le generazioni che la abitano, sono poste con minuzia sotto la lente d’ingrandimento non solo della sociologia ma, come già detto, della psicanalisi.
Il risultato è una sorta di atlante che scardina i tentativi falliti delle vecchie utopie massimaliste per proporre, un po’ tra le righe, una soluzione che sia insieme comunitaria e individuale.
Le utopie massimaliste (…) erano nate nell’Ottocento. In sé, i tentativi politici rivoluzionari non sarebbero ancora utopie: corrispondono piuttosto alla prima fase, ritenuta necessaria per creare una società nuova e migliore. Nella storia reale, però, difficilmente ci si è addentrati oltre la rivoluzione, nella vera utopia
Conosci te stesso
Zoja parte chiedendosi se le utopie, oggi, hanno ancora un qualche senso : “è ancora attuale l’utopia?”
Le utopie del passato hanno fallito; gli anni sono trascorsi, le generazioni si sono alternate, ma il desiderio di una società migliore pervade tutte le epoche. Dov’è allora che si è sbagliato? Forse nella costruzione di idoli, nel guardare con abulia a una società sempre più volta al consumo e nel farsi catturare da essa. Se in passato la lotta era più viva e le generazioni più immerse nel loro tempo, è anche vero che gli eroi di queste lotte erano ancora ideologicamente vivi. Oggi, non solo le nuove generazioni sono assorbite da un apatico e passivo consumismo, ma quest’ultimo è riuscito a declinare a merce anche gli eroi idealizzati dal tempo.
Tra questi, Zoja prende in esame la figura di Ernesto Che Guevara, mettendo in luce le contraddizioni della sua persona, rendendolo più umano e fallace. Il suo intento non è quello di demolire il rivoluzionario, ma di renderlo uomo, con i suoi errori e le sue mancanze. Ciò che l’autore vuole dirci è di non abusare di simboli estetici, come un volto stampato su una t-shirt, per esprimere un’appartenenza tribale a un’ideale; ciò che è necessario fare è avere quell’ideale intimamente presente e capire il limite tra l’ideale e l’umano. La figura del Che è indicativa alla trama del libro: non c’è bisogno di eroi e idoli, di utopie massimaliste, per migliorare la società. La soluzione, per l’autore, è in ognuno di noi.
Ogni faticoso miglioramento delle condizioni della società inizia nella coscienza dell’individuo
Ma partire dall’individuo, dalla propria intimità, presuppone una conoscenza di sé. Una conoscenza che non può prescindere da quella del passato. Ed ecco che Zoja ci guida, nella sua opera, attraverso un confronto tra le utopie massimaliste del passato e le utopie minimaliste del suo titolo. Minimaliste perché partono dal singolo individuo, dal piccolo, dal basso: da quella intimità già greca del “nosce te ipsum”.
Una riflessione attuale sul sé
Il saggio di Zoja è più che mai attuale: tocca tematiche a noi vicine come l’ambientalismo, l’importanza e la riscoperta degli spazi, ridiscusse entrambe durante questa pandemia; il consumismo isterico del sistema capitalistico; il nichilismo e l’indifferenza delle nuove generazioni di cui parla Umberto Galimberti nel suo L’ospite inquietante; fino a delineare quella società della stanchezza raccontata dal filosofo coreano Byung-Chul Han.
Utopie minimaliste è un’opera che si presta molto alla comparazione; che è essa stessa frutto di sintesi comparatistica. Ed è proprio questa caratteristica la sua forza: un pretesto e un aiuto per conoscere meglio noi stessi, secondo il suggerimento dell’autore, e praticare l’utopismo minimalista che, passo passo, può portare a un miglioramento comunitario.
Forse non si tratta di un saggio immediatamente divulgativo e di facile lettura; l’ideale sarebbe addentrarvisi con delle basi conoscitive solide, nei campi da lui citati. Nonostante tutto, l’opera è adatta a tutti coloro che desiderano approcciare al mondo della sociologia e, date le tematiche trattate, risulta ancora più accessibile e interessante. Un’opera riflessiva, riepilogativa della contemporaneità, che aiuta alla riscoperta di un sé inserito nel noi.
Gli errori dell’utopia non andrebbero risolti rinunciando all’utopia, ma rinunciando agli errori. (…) il secolo presente rischia di non avere più utopie perché, venduta l’anima agli oggetti, è al contrario capace di quell’esercizio critico della fantasia che da sempre costituisce un passaggio obbligato per il bambino che voglia diventare uomo
Marianna Nusca